[16/05/2012] News

Malawi. Tramonta il sogno del porto interno, ma non l'incubo del land grabbing

Chi arriva a Nsanje, il sonnolento capoluogo del distretto più meridionale del Malawi,  viene accolto da un grande cartellone scolorito che declama: «Il sogno diventa realtà. Il porto di Nsanje apre ad ottobre 2010». Ma il porto non è altro che un molo di cemento sul limaccioso fiume Shire, con una decina di bitte per l'attracco, con qualche barchetta e piroghe rudimentali di pescatori.

L'ex presidente del Malawi, Bingu wa Mutharika, voleva costruire un favoloso porto interno  per collegare il suo piccolo Paese senza sbocco al mare ad un porto vero, quello sull'Oceano indiano di Chinde, in Mozambico, a 238 km da Nsanje. L'obiettivo dichiarato era quello di realizzare la via navigabile Shire-Zambesi, per ridurre i costi di importazione e di esportazione delle merci nella capitale  economica del Malawi, Blantyre e la città portuale mozambicana di Béria che attualmente richiede un viaggio via terra di circa 1.200 km.

Ma c'era un problema: il governo del Mozambico non nutriva lo stesso entusiasmo per il progetto dell'ex presidente Mutharika. Durante l'inaugurazione del molo nell'ottobre 2010, Mutharika, insieme all'ex presidente dello Zambia, Rupiah Banda, e dell'eterno presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, fu costretto ad ammettere davanti alla folla festante che aspettava la prima nave da carico, che il governo del Mozambico aveva chiesto studi di fattibilità e di impatto ambientale, prima di autorizzare le navi da carico ad entrare nel corso dello Zambesi che attraversa il suo territorio. Da allora il porto è inutilizzato e piano piano sparisce tutto quello che è asportabile e riutilizzabile. Per la popolazione locale il molo deserto è il simbolo delle false promesse di sviluppo e di lavoro. Rose Samuel, una cittadina di Nsanje, ha detto all'agenzia stampa umanitaria dell'Onu Irin che «l'asfaltatura dei 50 km di strada tra Nsanje e Bangula, la città successiva, è il solo miglioramento che ha conosciuto la città. Una gran parte dei 130 km rimanenti, che separano Nsanje da Blantyre non sono ancora asfaltati. Non c'è alcuna prova che Nsanje sarà un giorno una grande città portuale. Abbiamo sentito dire che, più a valle, il fiume diventa troppo stretto  per permettere il passaggio di imbarcazioni. Non pensiamo quindi che il porto possa essere utilizzata in un futuro prossimo».

Ma dietro il porto che non c'è si staglia l'ombra inquietante del land grabbing. Quella della signora Samuel è una delle 300 famiglie che coltivavano le terre attualmente destinate all'area portuale fantasma. All'inizio del 2010, il governo rese noto attraverso il capo tradizionale locale che quelle terre erano state requisite per costruire il porto e che le famiglie sarebbero state indennizzate in base alla dimensione delle loro terre. La Samuel spiega che «Le famiglie interessate hanno dovuto estirpare il mais che era stato già piantato. Tra loro c'erano dei vecchi che sono partiti piangendo, era la loro sola fonte di guadagno». 

Come indennizzo la  famiglia Samuel ha avuto 5.000 kwacha (20 dollari) per un ettaro di terre ancestrali del quale non avevano nessun titolo di proprietà ed ora vive facendo lavoretti di fortuna e coltivando un piccolo terreno in un'altra zona dove il tempo è spesso cattivo e crescono solo le patate. «Vicino al fiume, era più umido e la terra era migliore - spiega la signora Rose - Molte altre famiglie non hanno ancora ricevuto niente. Le persone sono inquiete: se gli accaparratori possono impadronirsi delle terre senza pagare, cosa impedirà loro di espellere la gente?». 

Timori più che giustificati, visto che l'Autorità tradizionale di Nsanje ha vietato ai cittadini di costruire nuove case perché l'area è destinata allo "sviluppo" e il Commissario del distretto, Rodney Simwaka, ha detto all'Irin: «il mio ufficio aveva ricevuto 4.000 domande di terreni da parte degli sviluppatori che sono convinti che il porto finirà per diventare operativo. Le domande non sono ancora state trattate». Ma il capo villaggio Black Richman Khembo ha detto alla stessa Irin che «Una gran parte delle terre sono state acquistate da dei ricchi che sperano di trarne profitto. Per il momento, lasciano la gente sulle loro terre, ma uno di questi giorni probabilmente li cacceranno».

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