[02/05/2012] News

Quale crescita per il sogno degli Stati uniti d'Europa?

Con la nascita della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (Ceca) - che entrò in vigore il 23 luglio 1952, con ancora ben impressi negli occhi dei cittadini del Vecchio continente gli orrori della II Guerra mondiale: lo scopo principale del nuovo trattato era quello di non far mai più riaprire un conflitto armato tra gli Stati firmatari - si mossero i primi, moderni passi per la creazione di quella che oggi è l'Unione europea, una creatura ancora in evoluzione dopo mezzo secolo di conquiste e travagli.

Sin dall'inizio di questo percorso d'integrazione (che non procede certo a rilento, valutando l'obiettivo titanico che si prefigge), la Francia ha sempre camminato da protagonista: insieme a Italia e Germania (e agli Stati del Benelux) rientra a pieno titolo tra i Paesi fondatori dell'unione.

La probabile elezione di Hollande all'Eliseo (questa domenica arriverà il responso definitivo) fa domandare se ora, esattamente a sessant'anni dall'entrata in vigore della Ceca, la crisi economico-finanziaria, al posto della guerra, abbia o meno già lasciato abbastanza ceneri in Europa, dalle quali ripartire per costruire.

‹‹Hollande prova a rimettere al centro dell'agire politico e di governo una redistribuzione del reddito nazionale a favore delle classi sociali che hanno perso molto terreno dal trionfo del neoliberismo nel 1970 e in particolare dall'inizio della crisi finanziaria, monetaria ed economica esplosa nel 2007. L'aumento delle disuguaglianze sociali - spiega sull'Unità il celebre sociologo francese Alain Touraine, coniatore del termine "società post-industriale" - rappresenta attualmente la più seria minaccia alla stabilità e alla coesione dell'Unione europea e dei suoi membri. La crisi che, sia pur in termini e dimensioni diverse, ha investito la Grecia, il Portogallo, l'Italia, la Spagna, la stessa Francia, sta a dimostrare che la dimensione europea è decisiva, perché è a livello sovranazionale che si determina un controllo dell'economia››.

Precisare che in Hollande non sia lecito - o anche solo utile - vedere un possibile deus ex machina che scioglierebbe la presa della crisi con un colpo di bacchetta appare quasi lapalissiano: non esistono soluzioni semplici a problemi complessi. Hollande infatti, è quasi l'incarnazione di una sineddoche: sperando in una sua elezione, in verità i progressisti e socialdemocratici d'Europa sperano in una rinascita di una corrente di pensiero che ora appare minoritaria nel continente.

‹‹Sarebbe ancora più significativo - scrive infatti anche Touraine - se la nuova sinistra riformista e filo-Europa, oltre che in Francia, si affermasse anche in Italia e in Germania, nelle elezioni del 2013. La combinazione di questi tre Paesi potrebbe avere un effetto di trascinamento di altri e costruire un argine potente, e riequilibratore, alla finanza globale che gioca contro l'economia europea››.

Una finanza speculatrice e sporca, che parla una lingua altra a quella dei cittadini e democrazia, esprimendosi nell'idioma del profitto a breve termine e della rendita a tutti i costi, umani, sociali o ecologici che siano. Un capitalismo finanziario al quale imporre di nuovo il senso della misura e del limite, per impedire che anche la nostra società affondi del tutto e affoghi in un desiderio di illimitatezza, incrinando in modo forse irreparabile quei valori della solidarietà e della collaborazione che erano (ed ancora sono, dobbiamo crederlo) alla base del sogno europeo.

È un processo di decostruzione e ricostruzione culturale al quale contribuire attivamente come cittadini, e che non può certo limitarsi ad un rilancio della crescita economica nel Primo mondo. ‹‹Dobbiamo creare una nuova politica globale che combini l'aumento del tenore di vita nei Paesi emergenti in quelli poveri - precisa Touraine - con una politica di re-industrializzazione della Francia che deve, come la Germania, esportare di più e prodotti più industriali per i Paesi in crescita: è bene ricordare che l'80% del commercio mondiale è costituito da prodotti industriali››.

L'aumento del tenore di vita, per i Paesi economicamente sviluppati ma ancor di più, ovviamente, per quelli che ancora non lo sono, è ovviamente l'obiettivo da perseguire in un'ottica di breve e lungo periodo, che abbracci le esigenze delle generazioni che oggi camminano sulla Terra, tanto quanto quelle delle prossime, di generazioni, che ancora non hanno visto la luce: una prospettiva coerente con quella delineata da uno sviluppo che possa propriamente definirsi sostenibile.

Raggiungere questo obiettivo, però, non sarà certo possibile soltanto tramite una bilancia commerciale positiva (e, corrispettivamente, con bilance commerciali negative in altre parti del mondo), in Francia come in Europa.

Come scrive il Corriere della Sera, Terry Gou, numero uno di Foxconn (parte del gruppo taiwanese Hon Hai Precision Industry Company, è la più grande multinazionale produttrice di componenti elettronici) ha annunciato che ‹‹entro il 2013 il gruppo istallerà un milione di robot nei centri di montaggio di tablet e smartphone››, quando ad oggi in Cina ‹‹con più di un milione di dipendenti, Foxconn è probabilmente il più grande datore di lavoro››. Oltre ad essere famosa per le condizioni di lavoro cui i suoi dipendenti sono sottoposti, che hanno portato molti di loro al suicidio: ‹‹attorno alle finestre sono stese delle reti per impedire che qualcuno si tolga la vita››, osserva il Corriere.

Di fronte ad un aumento annuo del costo del lavoro del 20% ed alle proteste dei dipendenti, la Foxconn decide dunque di spingere sull'acceleratore dell'automatizzazione del proprio processo industriale, licenziando verosimilmente un gran numero di persone, piuttosto che concedere loro diritti e stipendi dallo standard più elevato.

‹‹Per l'Italia, terra dei robot dell' Istituto di tecnologia di Genova, è una buona notizia. In futuro conterà meno il costo del lavoro e di più la capacità di produrre macchine sofisticate. Chi fornirà robot alle Foxconn del mondo farà fortuna. Serve formare tecnici, ingegneri, affrontare investimenti in ricerca. Non serve invece lamentarsi della Cina o abbaiare alla Luna››, chiude l'articolo sul Corriere.

In effetti, la mossa della Foxconn potrebbe far un gran bene alla nostra bilancia commerciale. Ce ne rallegriamo, dunque? Quale crescita, o meglio, a quale sviluppo puntiamo?
‹‹Esiste un rimedio che [...] in pochi anni renderebbe tutta l'Europa [...] libera e [...] felice - annunciava Churchill durante il "Discorso alla gioventù accademica" del 1946. Esso consiste nella ricostruzione della famiglia dei popoli europei, o in quanto più di essa possiamo ricostituire, e nel dotarla di una struttura che le permetta di vivere in pace, in sicurezza e in libertà. Dobbiamo creare una specie di Stati uniti d'Europa››. Il sogno degli Stati uniti d'Europa può trovare fondamento soltanto su di una bilancia commerciale positiva? Faremmo bene a domandarcelo seriamente, quando sogniamo una svolta politica - ed economica - per la nostra Europa.

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