[30/04/2012] News

Meglio l'Alba del tramonto, ma serve pił Europa e non meno per superare la crisi del modello di sviluppo

Non è per senso di appartenenza. Né tantomeno per convinzione di superiorità. Tuttavia appare fuori dal tempo l'idea che per costruire un nuovo modello di sviluppo che ponga le basi per uscire dalla crisi economica-sociale-ambientale si possa fare a meno dell'Europa. Uscirne per fare da sé può affascinare ed essere una reazione anche comprensibile di fronte a scelte che non si condividono, quali l'austerità imposta dagli Stati più virtuosi ai danni di tutti gli altri, ma credere che sia la soluzione riporta alla mente quando da bambini, giocando a calcio nel cortile, di fronte alla superiorità degli avversari o dei compagni che non passavano il pallone, lo si prendeva perché nostro e si andava a casa pensando così di dare uno smacco a tutti. Ai tempi della globalizzazione, andare ognun per sé equivale a rimanere isolati e a non avere più diritto di parola su alcuna questione. Questo non vuol dire che bisogna sopportare supinamente tutto ciò che viene imposto, bensì giocarsi la partita fino in fondo. Purtroppo si è scambiato l'avversario con l'arbitro e quindi chiediamo che a dirigere la partita siano i mercati quando sono loro che stanno segnando a porta vuota decine di reti e crediamo che il nemico sia l'Europa appunto, che invece dovrebbe essere la nostra squadra. Non solo, proprio perché abbiamo confuso l'avversario con l'arbitro è a lui che abbiamo affidato la gestione del tempo e ci sta impedendo quindi persino di rifiatare ogni qual volta riusciamo a rinviare un pallone dall'area. Una situazione per certi versi kafkiana che Guido Rossi sul Sole24Ore di ieri ha ben riassunto in questa analisi: «Se finalmente si scoprirà che l'austerità e il rigore fine a se stessi servono solo a creare una grande depressione economica, sociale e politica, c'è solo da augurarsi che ancora una volta dalla Francia parta quello spirito critico che dai Lumi ha creato le democrazie occidentali e che serva a riaprire in Europa un serio discorso, non solo a parole, sul ripristino e il consolidamento dello stato sociale democratico, che solo l'Europa unita può portare come esempio di possibile rinascita alla globalizzazione mondiale. Questa oggi è l'unica vera sfida della politica, tutto il resto è letteratura».

Tornando alla metafora calcistica, per vincere la partita bisogna migliorare sia in difesa, sia in attacco. Dietro dobbiamo tenere botta e impedire che i mercati finanziari dribblino i centrali difensivi che sono il welfare state e il lavoro. Ma per farlo è il centrocampo che deve ragionare e concorrere alla difesa facendo sì intanto che i tempi non siano più quelli dei clic dei pc di Wall Street, ma quelli "umani" del pensiero critico e della democrazia. E poi riportando la finanza al suo ruolo di subalternità rispetto ai governi pur restando in un'economia di mercato, l'unica in grado (per fare un esempio) di poter - come sostiene il Wuppertal Institute - "individuare i prodotti ecologici ed equi e le vie della loro distribuzione". Poi, siccome al gioco del calcio si vince segnando più gol degli avversari, servono due attaccanti almeno in grado di farlo. E per questo servono sempre dal centrocampo passaggi di grande classe ed efficacia. La tassa sulle transazioni finanziarie avrebbe intanto il merito di indebolire gli avversari, un lavoro dalle fasce insomma, per poi colpire con gli eurobond e la Bce come prestatore di ultima istanza, fino all'europizzazione del debito. Basterà? Forse no. Certamente la partita non durerà i canonici 90 minuti, ma anni tuttavia avresti una strategia da portare avanti e da variare a seconda anche delle contromosse avversarie. Servirebbe anche, se non fosse una parola del tutto sputtanata soprattutto in politica, anche di un po' di amore. Un po' di amore e generosità per gli altri, sottoforma di solidarietà. Di cancellazione di idee balorde per le quali vince sempre il più forte perché tanto il più debole può mangiare le briciole di chi sta al banchetto reale. Servirebbe l'amore per credere che idee come quella presentata, la più concreta e la più condivisibile, dal nuovo soggetto politico che si è dato il nome di Alba, ovvero la creazione di un'Agenzia per l'occupazione nata dalla fervida mente di Luciano Gallino, possa essere attuata. Perché non c'è niente di pessimo nell'impiego pubblico se questo è meritato e funzionale alla causa e allora sono un bene-comune un milione di lavoratori che si occupano della messa in sicurezza degli edifici scolastici; del risanamento idrogeologico di aree particolarmente dissestate; della ristrutturazione degli ospedali e magari, aggiungiamo noi, dei servizi alle persone. L'"amore per",e il "desiderio di" una società migliore sono ancora il nostro Sole e se non ride più, ma si riaffaccia dalle tenebre, è sempre meglio di un suo tramonto. Inoltre se, nonostante qualche semplificazione in un impianto che legge la complessità, la nuova Alba diventerà quella speranza per i progressisti italiani senza casa da tempo, per uscire dalla nottata del berlusconismo e dell'automoderatismo, saremo i primi ad essene contenti.

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