[26/04/2012] News

Giornata mondiale delle lotte contadine

A Tsambokhulu, in Swaziland, Richard Mahlela ha deciso di opporsi all'introduzione della canna da zucchero nella sua comunità: "Per coltivarla ci rubano terreno fertile destinato al grano. L'esperienza insegna che con la canna da zucchero non ci si sfama". E' solo una delle testimonianze di lotta contadina con cui Cospe viene in contatto e che sostiene nei tanti Paesi africani e dell'America latina in cui lavora a fianco di agricoltori e associazioni contadine che lottano per contro le espropriazioni di terre e per la sovranità alimentare.

Ma quante sono le terre espropriate al controllo delle comunità locali a vantaggio di grandi proprietari terrieri? In altre parole: quanto è vasto il fenomeno del land-grabbing? Nessuno è in grado di dirlo con esattezza. Così come è difficile stabilire il numero delle vittime di questo fenomeno in crescita dopo la crisi finanziaria del 2007, quando i governi, ricchi di liquidità ma privi di terre (o multinazionali dell' agro business) hanno iniziato ad affittare o comprare terre fertili di altri Paesi per coltivarci generi alimentari per i propri bisogni o prodotti per i biocarburanti.

Per questo il 17 aprile, ricordando l'eccidio di 22 contadini "Sem Terra" brasiliani, colpevoli di aver lottato per la sovranità alimentare opponendosi all'esproprio delle proprie terre avvenuta nel 1996, si ricordano anche tutte le lotte contadine e le vittime che il fenomeno del land grabbing miete, con l'espropriazione prima e lo sfruttamento delle terre, dopo. (Vedi link)

La maggior parte delle terre infatti sono destinate alla produzione per l'esportazione, sia essa di biocarburanti o di prodotti tropicali, con impatto nullo -o nocivo- sulla sicurezza alimentare delle popolazioni locali.

La Banca Mondiale parla di circa 60 milioni di ettari "transitati" nelle mani di grandi investitori: una superficie equivalente al doppio dell'Italia. Ma per l'International Land Coalition sono almeno 200 milioni gli ettari di terra espropriati fra il 2000 e il 2011. In alcuni paesi, come la Sierra Leone, circa il 20% delle terre arabili è stato sottratto al controllo delle comunità locali a vantaggio di grandi proprietari stranieri.

La Banca Mondiale sostiene che il land grabbing, se opportunamente regolato, possa rappresentare una risorsa per i Paesi in via di sviluppo, agevolando gli investimenti produttivi nel settore agricolo ma è ormai chiaro che il beneficio dello Stato "che vende" o affitta" è minimo, dal momento che le terre vengono cedute generalmente ben al di sotto del prezzo di mercato (4$ all'ettaro in Sudan), mentre i salari erogati ai lavoratori assunti (2$ al giorno in Sierra Leone) sono completamente sganciati dall'inflazione galoppante (quando non vengono assunti direttamente dei lavoratori stranieri, come nel caso dei lavoratori cinesi del progetto Malibya, sul fiume Niger). Le terre cedute sono quasi sempre abitate e soggette al diritto consuetudinario delle popolazioni locali.

La mancanza di consultazioni e coinvolgimento delle stesse conduce alla stipula di contratti opachi, e alla frequente violazione dei diritti umani: diritto al cibo, diritto all'accesso alle risorse, diritto alla casa. E chi protesta viene imprigionato, spesso senza processo. Gli assassinii impuniti di contadini organizzati in difesa delle proprie terre si susseguono ogni giorno, dall'Africa all'Asia all'America Latina. Per milioni di esseri umani, la sovranità alimentare non è un concetto astratto, ma una questione di vita o di morte. Ricordarli è oggi un imprescindibile atto di solidarietà.

foto di Alessandro Tosatto copyright Contrasto

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