[24/04/2012] News

Oltre la crisi: lo strano caso di Industria 2015

Strano destino quello di Industria 2015. Varato dal governo Prodi nel 2006, come sostiene ancora wikipedia "stabilisce le linee strategiche della politica industriale italiana, basandole su una concezione di Industria che integra non solo la produzione manifatturiera ma anche i servizi avanzati e le nuove tecnologie, in una prospettiva di medio-lungo periodo (il 2015)". Già, una politica industriale, proprio quella che è praticamente scomparsa in questo Paese e la cui "fortuna" ben viene esemplificata proprio dalla serie di stop and go subiti da quel disegno di legge ormai da ormai sei anni.

Sulle pagine del quotidiano di Confindustria ci si può divertire anche nelle ultime settimane a vedere quando sia controversa la questione visto che una giorno si rilancia, un giorno si manda in soffitta, oggi di nuovo se ne parla in questi termini in un articolo sul riordino delle risorse statali ai fini degli incentivi per la crescita: «La dispersione a pioggia, tipica degli incentivi puramente automatici, è plausibilmente una delle maggiori cause che spiegano l'efficacia assai deludente di queste misure, perfino dei crediti d'imposta sulle spese di ricerca, quale emerge da un numero crescente di verifiche econometriche su campioni rappresentativi di imprese (Banca d'Italia, Politecnico di Milano) confrontando investimenti, occupazione e produttività di imprese beneficiarie e non beneficiarie.
Il governo fatica forse a condividere quanto è ormai chiaro in quasi tutti i maggiori paesi europei (per non parlare di America e Asia): la necessità che, accanto a una buona base di incentivi automatici, di supporti "orizzontali" all'innovazione e di regole a difesa della concorrenza, serve disporre di pochi grandi programmi nazionali di sviluppo tecnologico, fortemente selettivi nell'identificazione delle imprese partecipanti e delle connesse potenzialità di vantaggio competitivo del paese nel suo complesso (...). I programmi agiscono da catalizzatori di reti di imprese grandi medie e piccole, disposte a valorizzare le proprie eccellenze tecnico-scientifiche in un gioco di squadra, in cui lo Stato o l'ente locale eroga un significativo co-finanziamento e garantisce un continuo severo monitoraggio indipendente sullo stato di avanzamento e sui primi risultati di successo commerciale. Se tutto ciò vi evoca il nome di "Industria 2015" non avete torto, ma un suo rilancio che corregga gli errori procedurali che negli ultimi tre anni l'hanno quasi affossato è ancora possibile».

Oggi quindi deve essere un giorno pari e quindi si può rilanciare Industria 2015, che peraltro dal nostro punto di vista dovrebbe già essere fasata sul 2020 - visto che il 2015 è praticamente alle porte - e dare quindi ragione così anche a tutti quelli i cui progetti sono stati approvati ma non ancora finanziati. Progetti che in gran parte sono legati alla sostenibilità, dal risparmio energetico alla mobilità sostenibile, dunque teoricamente ancora "d'attualità", per rispondere a chi vede nel fatto che alcuni di questi sono stati presentati anni fa un limite alla loro realizzazione e quindi un motivo al loro non diritto all'incentivo. Non che a noi siano noti tutti i progetti presentati, ma questa ci è parsa solo una scusa. Gli incentivi sono, come noto e come riconosciuto, necessari per aiutare l'economia a riprendere la strada perduta e mirarli su alcuni settori piuttosto che su altri è l'unica possibilità di governarne una riconversione ecologica.

Lasciare fare al mercato abbiamo visto che non funziona e certo anche gli incentivi alle rinnovabili hanno mostrato dei limiti dal verso opposto, tuttavia non si vede altra strada che il trovare il giusto mix. Che peraltro in un'ottica di green economy reale dovrà necessariamente abbracciare la manifattura, da rilanciare anch'essa in chiave ecologia attraverso l'utilizzo della "materia rinnovabile" - possibile commodity italiana - ovvero la materia seconda, quella che proviene dai rifiuti delle raccolte differenziate trattati e riutilizzati nei processi produttivi.

Puntare sulle tecnologie verdi incentivandole è l'unica strada per la salvezza?  No, se l'ottica rimane quella della crescita ad ogni costo, considerando peraltro il noto effetto rebound, a causa del quale i risparmi e la maggiore efficienza di energia e di materia potrebbero portare ad un loro maggior uso, ma è qui che bisogna concentrasi senza tabù per trovare un punto di equilibrio.

Nel pianeta non corriamo tutti allo stesso modo e non è per niente augurabile che lo si faccia. Chi corre o ha corso troppo deve frenare, chi è rimasto indietro può accelerare ma ora che il destino dei primi è noto, anche i secondi devono cercare di non finire nella stessa trappola. L'exit strategy è un nuovo modello di sviluppo ma sia chiaro, non è una la manna, è un compromesso. E se puntiamo al "livellamento" alla fine potremmo scoprire che la nostra asticella si è abbassata fino a diventare cinese, sia per diritti che per concezione della democrazia, perché la nuova industria è possibile e sostenibile solo se accompagnata anche da un'ecologia della politica che deve essere anche nuove relazioni industriali e di lavoro sostenibili per tutti: imprenditori, lavoratori e società nel suo insieme.

 

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