[24/04/2012] News

Anche il capitalismo finanziario ha i suoi giorni della marmotta

La domanda è: come impedire il loro infinito ripetersi?

Da quando la mattina, al bar - tra un sorso di cappuccino e un morso al cornetto - agli accesi dibattiti attorno l'andamento del campionato calcistico gli italiani accompagnano preoccupati borbottii su Pil, bot e spread, le pagine economiche dei quotidiani informano periodicamente che le borse di mezza Europa come minimo, e quella di Milano in particolare, sono crollate, per poi risollevarsi parzialmente e dunque riscendere, come in una montagna russa della finanza.

«È troppo semplicistico dire che i mercati sono crollati a causa della semi-vittoria di Hollande - scrive oggi l'economista francese Fitoussi sulle pagine de la Repubblica - La settimana scorsa pure sono crollati, per qualche altra ragione. È un bel po' di tempo che, almeno da luglio dello scorso anno, che ci siamo abituati a questa volatilità mozzafiato››.

Azzardando un paragone cinematografico, come cittadini ci troviamo a recitare come comparse inconsapevoli all'interno di un film dove i registi sono i mercati finanziari, e la speculazione si dispiega all'interno di una trama che parafrasa in qualche modo quella del film cult Groundhog Day (Il giorno della marmotta, tradotto in italiano col titolo, più comprensibile per l'italico pubblico, Ricomincio da capo, nella foto un frame). Nella celebre pellicola del '93, Bill Murray interpreta lo statunitense Phil Connors, caustico meteorologo televisivo inviato in Pennsylvania per un reportage su di una tradizione folkloristica locale, per finire poi incomprensibilmente a ripetere ogni giorno lo stesso giorno, intrappolato in un loop temporale finché non sopraggiunge il classico lieto fine.

Lo scontro con il muro della realtà è sempre più violento della finzione cinematografica, quindi c'è da chiedersi se anche - fuor di metafora - per i cittadini giungerà presto, l'atteso lieto fine. Per l'economista Paolo Leon - in un commento sull'Unità - ‹‹oggi gli speculatori giocano con l'austerità del cosiddetto patto fiscale ("fiscal compact") e sulle risorse dei fondi europei per il salvataggio dei Paesi più indebitati, sapendo che ogni speculazione al ribasso sui titoli di Stato dei Piigs non porterà al fallimento, ma soltanto ad una riduzione del prezzo di quei titoli: è l'ideale per chi opera al ribasso (si vendono titoli al prezzo del giorno e si compreranno il giorno dopo ad un prezzo più basso), sicuro che il debito sarà onorato. Se Hollande sarà eletto e sarà capace di battere il conservatorismo della Germania, si alzeranno le probabilità che la crescita in Europa sarà più forte e più equamente distribuita, e immediatamente i mercati speculeranno al rialzo e non più al ribasso››.

Il probabile gonfiarsi di una nuova bolla - o anche una crescita economica sostanziale, ma non declinata sul versante della sostenibilità - in Europa non è però propriamente una buona notizia, sebbene riuscirebbe, almeno nell'immediato, a trascinare il continente fuori dalle secche della crisi. Come giustamente sottolinea Leon, nel caso di una vittoria di Hollande alla corsa per l'Eliseo, chi in Europa si rende già conto (o sarà presto illuminato sulla via di Damasco, e speriamo che capiti anche al governo Monti) della follia delle politiche d'auterity spinta - che non fanno altro che spingerci con maggior forza nella spirale recessiva - colga il momento propizio per fare quadrato col candidato socialista francese e trovare una forza di gruppo per ‹‹regolare i mercati finanziari, per finanziare i disavanzi pubblici, per ridurre la severità delle misure tedesche››.

‹‹È questo il vero problema - per dirla prendendo ancora a prestito le parole di Fitoussi. Altrimenti si andrà avanti con una debolezza strutturale dell`Europa che inquina lo stesso rapporto fra politica e mercati. Il problema va preso molto sul serio. Nel momento in cui ci renderemo conto che i mercati tutelano la politica, sarà già troppo tardi, perché non ci sarà più spazio per la democrazia. E questo la popolazione non potrà mai tollerare in nessuna parte del mondo. Dunque la normalità è che siano i governi a tutelare i mercati. E i mercati a loro volta sanno che sono sottoposti al rischio di non poter sopravvivere senza l'aiuto dei governi. Questa è stata la grande lezione della crisi finanziaria: dire che bisogna cambiare il voto perché sennò si fa dispiacere ai mercati significa aprire una ferita nella democrazia››.

La lezione è stata duramente impartita, ma evidentemente ancora non assimilata. Fatto questo  -  e non sarebbe certo poco! - e sperando non si debba ancora dare spazio a dei bis per impararla meglio, una volta ridata almeno una manciata di dignità alle istituzioni democratiche, a queste (e quindi a noi cittadini, che le eleggiamo) potremo e dovremo finalmente affidarci per programmare e implementare un percorso sostenibile di rinascita, guardando al presente e futuro dell'economia, muovendoci infine nel rispetto dei vincoli sociali ed ecologici di cui la macchina economica sregolata è altrimenti destinata a farsi beffe.

Torna all'archivio