[23/04/2012] News

Hollande spaventa i mercati, e l'interventismo statale non č pių un tabų

La vittoria del candidato socialista François Hollande nel primo turno delle elezioni presidenziali francesi ha messo in fibrillazione il clima politico europeo, e tinto di nero l'umore dei mercati finanziari (con lo spread già in rialzo e le borse in netto ribasso). In attesa del verdetto finale del 6 maggio, la corsa all'Eliseo contribuisce - se non ad erodere ulteriormente - a fare più accesa la discussione attorno alla scelte economico-politiche migliori per tirare fuori l'Europa dal pantano dalle sabbie mobili della crisi.

«Presto analizzeremo la posizione di politica economica nella zona euro e nell'Unione europea nel suo insieme. Sarà il momento appropriato per analizzare e decidere qual è il modo migliore per trovare il giusto equilibrio tra il consolidamento e la crescita», ha recentemente avuto modo di affermare il commissario Ue agli affari monetari Olli Rehn. Contemporaneamente, come riporta il Sole24Ore, «il commissario Rehn ha annunciato per l'estate le nuove obbligazioni europee finalizzate a precisi progetti infrastrutturali (i project-bonds). Inoltre, lo stesso Rehn ha chiesto con insistenza ai Paesi azionisti di rafforzare il capitale della Banca europea per gli investimenti, la Bei. La Commissione sta anche discutendo di una modernizzazione delle regole sugli aiuti di stato [...] L'Esecutivo sta forse rinnegando il liberalismo che ha caratterizzato la sua politica in questi ultimi decenni? Quando alla Commissione si definiscono un po' provocatoriamente le recenti iniziative una forma di light keynesianism, non tutti sono d'accordo. Si preferisce parlare qui a Bruxelles di una politica "più matura"».

L'unica e pervasiva ideologia forse rimasta, quella dei mercati, fa fatica ad accettare quelle parole che cominciano a rientrare dalla finestra di un passato dove in economia la serrata dialettica tra le forze progressiste e quelle conservatrici era ben più manifesta di oggi, e la supremazia ideologica del neoliberismo ancora non era sancita. Eppure quelle parole - keynesismo e beni comuni (che già qualcuno si spinge, probabilmente troppo oltre, a chiamare beni comunisti), per citarne due - si infiltrano sempre più nelle crepe ormai più che vistose del laissez-faire: chissà che la probabile elezione di Hollande non possa essere un altro piccolo passo perché la stessa Francia cominci a rigettare proprio questa, di parola - laissez-faire, per l'appunto - alfiere del liberismo e resa nota nel ‘700 dai filosofi politici e dagli economisti d'Oltralpe.

L'economista francese Jean-Paul Fitoussi (che domani alle 12 terrà, alla Commissione bilancio della Camera italiana, un'audizione all'interno dell'indagine conoscitiva "sull'individuazione di indicatori di misurazione del benessere ulteriori rispetto al PIL"), intervistato sulle pagine di Quotidiano nazionale, sembra convinto che, in ogni modo, sia imminente una svolta: «Sarkozy ha già detto che se vincerà lavorerà perché la Banca centrale europea finanzi direttamente gli stati, Hollande si è impegnato a rinegoziare il trattato europeo firmato il primo marzo, non ancora ratificato, per inserirvi un elemento di crescita... In ogni caso, avremo grandi cambiamenti in Europa».

Sicuramente, se l'asse (già da qualche tempo meno solido) Merkozy sarà spezzato per come finora concepito, il vento per un cambio di rotta, anche tiepido, sarà propizio per l'Europa. Ma anche sull'altra sponda dell'Atlantico, patria del neoliberismo più spinto, "l'intrusione" dello Stato in economia, piuttosto che essere di malavoglia sopportata, sta tornando a conquistarsi un ruolo sempre più di primo piano.

Come scrive ancora il Sole24Ore, «Un anno fa, più o meno, per chi analizzava con attenzione i dati del Flow of funds della Federal Reserve, appariva chiaro il sorpasso della finanza pubblica su quella privata nel finanziamento dei consumi. Linee di credito emesse da Washington, e soprattutto garantite da Washington, salivano al primo posto nel finanziamento di tutti i mutui in essere e del credito al consumo, un netto rovesciamento rispetto al 2006, quando ogni dollaro con dietro Washington ne fronteggiava due del libero mercato. Giorni fa, poi, uno studio della Brookings, la venerabile think tank vicina ai democratici, ha messo il suggello su questi dati, ricordando in un'analisi di Douglas J. Elliott intitolata "Uncle Sam in Pinstripes", lo zio Sam banchiere, come sia ormai Washington con i suoi finanziamenti e assicurazioni su crediti per mutui e famiglie, agricoltura, imprese e studenti il primo banchiere d'America, 2.700 miliardi a fine 2011, più del portafoglio della prima banca privata, JPMorgan. E questo senza contare la garanzie sulle megafinanziarie immobiliari Fannie e Freddie, sul sistema delle Federal Home Loan Banks e altri impegni assunti dall'esecutivo (extra Federal Reserve quindi) in seguito alla crisi. Il tutto porterebbe lo zio Sam banchiere a circa 9mila miliardi di esposizione».

Questa carrellata di numeri certifica, più che l'atrofizzazione della finanza sul palcoscenico statunitense, l'ulteriore abbandono dei grandi capitali privati dall'impegno verso l'economia reale e l'impegno sociale, a favore degli assai più lucrativi lidi della speculazione finanziaria. A questa progressiva deriva che lo Stato si trova a dover sopperire ma, riconquistando comunque e poco a poco il terreno perduto sul fronte economico, potrebbe così finire per riuscire a mettere la finanza all'angolo per vie traverse, ancor prima che ci riescano sbiadite regolamentazioni del settore, le inchieste o le autorità di vigilanza. È lo spettro di Keynes che chiama alla carica.

Non è però su soli spettri, per quanto grandi, che un completo rinnovo della politica economica neoliberista potrà far leva per realizzarsi. Riscoprire e partire dal pensiero keynesiano potrà offrire un ottima base sulla quale lavorare, ma per impostare una nuova idea di sviluppo non potranno cadere nel vuoto i decenni che sono trascorsi dalla morte del celebre economista di Cambridge, e l'economia, per dirsi sostenibile, dovrà tenere esplicitamente conto dei propri vincoli ecologici, oltre che sociali.

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