[20/04/2012] News

Oltre la crisi: ci mancava solo il ritorno della retorica dei "lacci e i lacciuoli"

Speriamo che l'editoriale di oggi del Sole non sia propedeutico alla nuova linea del quotidiano per il post-Marcegaglia. Perché se il buongiorno di Squinzi si dovesse vedere da quanto scrive oggi in prima pagina il foglio di Confindustria c'è ma mettersi le mani nei capelli. Per noi che crediamo nella bontà del confronto anche e soprattutto tra chi ha idee diverse, l'interlocutore Confindustria rappresenta uno dei punti di riferimento, ma pur non avendo preconcetti rispetto all'età e ai tempi delle idee - se un'idea è buona è buona sempre, non è che decade solo perché datata - ci sono venuti i capelli tutti d'un tratto grigi solo a leggere il titolo "Liberare l'Italia da lacci e lacciuoli".

Peggio del titolo poi gli argomenti portati a supporto della citazione di Guido Carli: «forse il tormentone dell'articolo 18 ci ha fatto dimenticare quelle linee di faglia che delimitano la gabbia dell'economia italiana: questi aspetti di qualità e di quantità - qualità del tessuto produttivo e quantità dei vincoli - che stringono l'economia in una soffocante minorità». Ma che vuol dire? Il tormentone dell'articolo 18 ce lo saremmo risparmiati tutti se Confindustria per prima non fosse in prima linea per la sua abolizione, e sul resto basti un esempio: il settore che tirava l'economia nazionale era quello edilizio, che negli anni si è mangiato pezzi di suolo nazionale a un ritmo insostenibile. La crisi lo ha messo in ginocchio, non certo i "lacci e lacciuoli", visto che hanno potuto fare ciò che volevano; basta contare i condoni approvati dai governi negli anni e i conteggi sul consumo di suolo, e ora i capannoni inutilizzati non si contano nemmeno più, e la bolla immobiliare è scoppiata da tempo.

Questo non significa certo che in Italia non ci sia una quantità di vincoli impressionanti, con tempi insostenibili di valutazione dei progetti e un pamphlet di leggi che, come diciamo provocatoriamente, minano la "certezza del dovere". Gli esempi portati a suffragio della tesi - i rigassificatori di Brindisi (dove comunque British Gas ha solo annunciato che se ne andrà...) e Trieste - sono concreti, e comunque la si pensi 10 anni di attesa per un sì o un no sfiancherebbero chiunque, ma quanto avrebbero spostato? In Italia siamo in presenza di 5 milioni di disoccupati, non qualche decina di migliaia, e per anni il problema è stato solo quello di togliere i "lacci e lacciuoli" all'economia finanziaria che ci ha portato alla crisi attuale, senza inoltre neanche portare ad una crescita significativa, tale da giustificare il laissez-faire a cui abbiamo assistito dagli anni Ottanta ad oggi.

Qui il problema appare assai più preoccupante, ovvero la mancanza di una anche minima idea di un modello di sviluppo almeno diverso da quello attuale, e la pochezza di questo editoriale ne è, ma speriamo di sbagliarci, la quintessenza. Anche il manifesto di Squinzi paga il prezzo dello spread che si misura tra il (suo) dire e il (suo) fare. Nei punti delle priorità c'è ad esempio "Sostenibilità" con una bella definizione buona per wikipedia, ma nella sua squadra, nel cosiddetto ‘comitato tecnico', ha messo Edoardo Garrone all'ambiente. Un petroliere all'ambiente, che è come mettere il lupo a guardare le pecore. Come ha ricordato Valerio Gualerzi nella sua rubrica 2050 su repubblica.it, Garrone in un'intervista recente a Repubblica aveva detto: «Altro intervento possibile, anche se so che il tema è molto delicato, è quello già messo in atto dalla Gran Bretagna: congelare, in via temporanea, gli interventi finalizzati alla riduzione delle emissioni di CO2. Le risorse messe in campo sono ingenti e, vista l'emergenza, penso sia arrivato il momento di fare una riflessione sul tema: ritengo che, per un lasso di tempo limitato, si debbano allentare gli investimenti sull'ambiente per dare la priorità all'economia». Da rimanere senza fiato...

La lettura del Def 2012 del Governo peraltro non aiuta a cambiare idea, visto che le cose più interessanti anche sul piano ecologico stanno nelle previsione, una specie di pagherò...a babbo morto (che, per i non toscani, significa "un tempo indefinito"). Peccato, perché poi il Sole è capace di dire che per andare "oltre la crisi" la "sfida è il capitale umano", osservando che «La globalizzazione e ancor più la crisi destrutturano e riorganizzano i cicli produttivi, permettendo la rilocalizzazione delle fasi produttive in ragione dei vantaggi competitivi che i siti possono offrire. Per chi ritiene che la competizione debba essere di prezzo, con produzioni di bassa qualità e ridotto valore aggiunto, le aree più attrattive saranno quelle che offrono bassi costi del lavoro, di impianto e ridotti vincoli ambientali.

Se il nostro obiettivo-Paese diviene innalzare la qualità di produzioni e servizi incorporati, rafforzare un'innovazione trainante delle restanti attività della filiera, allora i fattori attrattivi diventano le infrastrutture che innalzano i livelli dell'educazione di base e avanzata, della formazione del capitale umano, della creazione e del trasferimento delle conoscenze. Educazione e ricerca diventano non solo strumenti di competizione per le imprese, ma devono essere considerate infrastrutture per lo sviluppo per il sistema produttivo, favorendo la localizzazione qui di quelle fasi strategiche, che guidano e orientano le attività di filiere che si stanno ridisegnando a livello globale».

Qui ci sarebbe molto di quella che appare la più concreta via di uscita dalla crisi, ovvero un modello di sviluppo che guarda alla sostenibilità. Ma si ha la sensazione che nelle pagine esime del giornale si possa scrivere di tutto, mentre la linea editoriale sia quella degli anni Cinquanta, e allora attendiamo solo che si riparta con la bambolina del nucleare...

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