[16/04/2012] News

La fine delle (in)certezze

Se i mercati fossero ancora legati alla legge della domanda e dell'offerta tutto sommato, di questi tempi, ci si potrebbe anche stare ad essere da loro "aiutati" al fine del governo delle cose. Perché i guasti provocati dall'economia finanziaria hanno talmente smantellato questo modello matematico che oggi, un'esperta del calibro di Alida Carcano, vicepresidente di Valeurs Investments, rispondendo sul Sole24Ore a domande circa la crisi europea e al precipitarsi di quella italiana dopo la ripresina delle settima scorse può affermare candidamente che: «i mercati, quando sono incerti, se vanno in una direzione vengono subito seguiti dalla massa degli investitori. È un ragionamento di psicologia finanziaria: gli investitori sperano che non vi siano incertezze nei movimenti di Borsa, ma al fondo sanno che invece ci sono. E allora si accodano ai trend, provocando - come sulla fine della seduta di martedì scorso - anche ondate di vendite da panico». Siamo insomma "nelle mani" dell'amigdala degli investitori e dunque ad affrontare la crisi praticamente "senza rete".

Perché oltretutto l'incertezza, parafrasando Tonino Guerra, è (dovrebbe essere) "il sale" dell'economia finanziaria. Ma leggendo gli analisti si vorrebbe invece azzerarla o quasi, per avere così la certezza dell'investimento. Peccato che siccome come minimo non la si raggiungerà in tempi brevi «Almeno per i prossimi due o tre anni - sostiene sempre Alida Carcano - non ci sarà un'uscita dalla crisi europea» e «L'altalena dei mercati durerà a lungo».

Il guaio è che questo incide e non poco sull'economia reale e sulla vita delle persone creando qui un vero spread difficilmente colmabile. Gli Stati europei si sono infatti convinti che per essere credibili agli occhi dei mercati devono far pagare ai cittadini un prezzo salato ma che servirà per consolidarsi: tasse, lavoro flessibile anche in uscita e pensioni legate alla speranza di vita. Da affiancare ad un non ben definito piano di crescita poco declinato o punto sulla sostenibilità (sociale e ambientale) e che fa leva anche sulle infrastrutture legate all'energia in particolare, liberalizzazioni e altre poco chiare manovre che se va bene sbloccano qualche risorsa.

Proprio l'energia è stata al centro di un mucchio di questioni e riflessioni sui costi della bolletta - la più cara in Europa - e di come questo pesi sul "sistema Italia" e dell'urgenza di diversificare le fondi di approvvigionamento soprattutto del gas (fondamentale nella transizione dalle fonti fossili a quelle rinnovabili).

Ma poi si scopre - sempre dal primo giornale economico italiano in un editoriale di Alberto Orioli di sabato - che siamo «in presenza di una sovracapacità del 60%» e che, di fronte alle incertezze sulla riconversione a carbone di Porto Tolle, «tutto serve tranne che produzione aggiuntiva». Ma allora di che cosa si è e stiamo ancora parlando? Questa prevedibile conseguenza della crisi, la riduzione dei consumi e quindi una enorme sovracacità produttiva, avrebbe dovuto - se la legge di domanda e offerta fosse ancora in auge - portare ad una almeno graduale riduzione della bolletta, aiutando le aziende in difficoltà a respirare grazie all'alleggerimento del costo dell'energia.

Invece no, anzi, si prevedono addirittura aumenti. Perché? Non è chiaro, ma è del tutto simile - nel risultato - al meccanismo per cui se il costo del barile di petrolio aumenta, la benzina aumenta, se invece diminuisce la benzina no e se i consumi di acqua diminuiscono non diminuisce la bolletta e via dicendo. In sostanza sembra che raggiunto un livello di "consumo" quale che sia non si possa tornare indietro. Perché si dà per scontato che tutto cresca (e se non cresce, crescerà) e non è previsto un piano B.

Questo crea problemi da molti punti di vista, ma soprattutto a quelli come noi che auspicano una riduzione dei consumi di energia e di materia per ridurre l'impatto antropico sul pianeta e che per far questo sanno bene quanto sia necessario un meccanismo premiante legato agli obiettivi di riduzione stessi. Se ad esempio si dà vita ad un piano di risparmio energetico l'ambiente ci ringrazierà ma per ottenere risultati serve anche che le industrie e i cittadini ricevano una gratificazione economica legata appunto a una bolletta più leggera. Ma se alla riduzione dei consumi corrispondono invece degli aumenti della bolletta, come se ne esce?

Insomma, le ricette per affrontare la crisi non trovano risposte credibili perché non ci sembra incidano assolutamente al livello a cui dovrebbero. Sostanzialmente la battaglia alla crisi finanziaria non si riesce a combatterla sostenendo l'economia reale, nonostante le oggettive responsabilità della prima sulla seconda. L'economia reale va aiutata a prescindere e poi va combattuta una "guerra" totale a colpi di regole a questa economia finanziaria a partire dalla tassazione sulle transazioni, per far pagare una volta tanto chi questa crisi l'ha causata e ci ha pure guadagnato.

Aumentare le tasse farà dell'Italia solo un Paese fintamente rigoroso dove pagano sempre i soliti, ma che non cambierà di una virgola gli spread e l'altalena delle borse semplicemente perché nonostante Monti il Paese non ha un'idea di futuro e - nell'incertezza - i mercati finanziari ci voltano le spalle. Lo faranno con tutti, perché l'Europa non ha una leadership potente in grado di dare una direzione e soprattutto si è posta in una posizione succube nei confronti dei mercati da sfiorare il masochismo. In nome dei mercati che ci guardano stiamo distruggendo il welfare faticosamente costruito negli anni e non con uno migliore. Per di più la globalizzazione ha portato via l'industria dal vecchio continente che non è stato in grado di far crescer nemmeno quello che avrebbe dovuto e voluto, ovvero i servizi. Quelli alla persona in particolare, visto che in Italia senza badanti straniere i nostri vecchi sarebbero rinchiusi in casa...

Tocca dunque aspettare un segnale dalle nuove elezioni sperando che cambi il vento europeo e che almeno un refolo colpisca anche l'Italia dove, al di là di come la si pensi, mentre aumentano i consensi al grillismo - ma chi lo segue sa che c'è uno scontro interno al Movimento 5 Stelle che ricorda molto quello dei partiti da loro infamati - non si trova di meglio a sinistra che richiamare lo spettro dell'antipolitica e tracciare improbabili analogie con l'Uomo Qualunque, invece che trovare e rilanciare un'idea diversa di buona politica e dello sviluppo, che evidentemente, se non la si dice, è verosimilmente perché non la si ha.

Quello che appare ancora una volta è che l'ubriacatura ideologica dell'iper-liberismo ha incollato sulla testa dei governanti italiani ed europei gli spessi paraocchi ideologici che impediscono di guardare la realtà per quello che è: una crisi di sistema che richiede proposte innovative e diverse e non uno strano miscuglio tra il liberismo alla Pinochet, i diritti dei lavoratori alla cinese ed il welfare all'americana...

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