[05/04/2012] News

Il “mito” dei profughi climatici. La migrazione climatica č una soluzione, la disperazione č per chi resta

Mentre nel Sahel la siccità, la fame, la ribellione tuareg e il colpo di Stato in Mali fanno crescere ogni giorno di più i profughi interni ed esterni,  David Thomas, un geografo dell'Università di Oxford, co-autore di "Migration and Global Environmental Change Future Challenges and Opportunities" un importante studio sulla migrazione e i cambiamenti ambientali globali pubblicato nel  2011 dal Government Office for Science della Gran Bretagna,  intervenendo la scorsa settimana al meeting  "Planet Under Pressure" di Londra ha dato una versione diversa, e per alcuni versi sorprendente, sia delle migrazioni che dei profughi climatici

«Si tratta di una potente immagine: profughi disperati in fuga dall' apocalisse ambientale, che attraversano i confini per salvare le loro stesse vite - dice Thomas - Ma questa nozione è viziata. Piuttosto che vedere così male le migrazioni ambientali, dobbiamo vederle come parte della soluzione ai cambiamenti ambientali».

Molti esseri umani sono in movimento lungo i confini del pianeta e per moti un ritorno in patria è impossibile proprio a causa del deterioramento dell'ambiente che non permette più alle loro comunità di origine di avere i mezzi di sostentamento necessari per tutti, da qualche tempo questi migranti della necessità vengono aggruppati sotto l'etichetta di "rifugiati climatici".  Ma secondo Thomas «E' un mito molto diffuso. Per prima cosa, la maggior parte dei migranti non può prenotare un viaggio illegale del mondo ricco: circa l'80% dei movimenti dei migranti avviene all'interno del proprio Paese. In secondo luogo, la maggior parte delle persone non sono in fuga. Infatti, in extremis, le persone tendono a restare. La migrazione, tende ad essere un atto di aspirazione, non di disperazione. E raramente è il più povero o il più rispettoso dell'ambiente minacciato che si mette in movimento».

Il ricercatore fa un esempio che sembra ripetersi oggi nella situazione disperata del Sahel e che ha colpito ferocemente il Corno d'Africa: «Prendete la siccità africana degli anni ‘80. Milioni di morti. L'immagine che molti di noi ancora hanno è quella di persone che fuggono dall'avanzata del deserto. Quell'immagine è sbagliata. Nel Mali nel corso degli anni'80, la migrazione in realtà è diminuita Perché? La migrazione ha costi monetari ed a causa della siccità la gente non aveva soldi. Le persone alle quali in realtà dovremmo pensare non sono i profughi, ma quelli che rimangono indietro, che desiderano migrare, ma non possono. Sono intrappolati, sono i più vulnerabili».

Thomas  è convinto che ogni spostamento umano risponda a precise cause e mosse "intelligenti". Ha portato l'esempio della capitale del Senegal, Dakar, dove il 40% dei migranti vivono in aree della città a rischio inondazione, dove nessuno  voleva vivere, «Tuttavia, stavano facendo scelte razionali su come migliorare le loro vite». Nel suo intervento a Planet Under Pressure" ha sottolineato: «La migrazione può dare potere. Non è l'ultima risorsa., Migliora in generale la ricchezza e lo stile di vita delle persone che si spostano. E' ora che  i policy-makers  accettino che il mondo dovrà adeguarsi agli inevitabili effetti dei cambiamenti climatici, dobbiamo  vedere le migrazioni come parte di questo processo. Questa è una proposta difficile per gli occidentali che temono orde di migranti, ma il cambiamento climatico è una minaccia crescente e i profughi ambientali saranno una realtà. La migrazione, ha concluso, è uno dei molti modi in cui gli individui, e il mondo, devono adattarsi».

Il rapporto "Migration and Global Environmental Change Future Challenges and Opportunities" evidenzia alcuni settori  di intervento prioritari che non sono certo facili da attuare, visto le «Complesse interazioni tra molteplici processi umani e naturali, che comprendono settori diversi». Anche perché le necessità che si presentano non possono essere collegate a risultati rapidi e visibili. Il rapporto conclude che «Le azioni per ridurre le emissioni di gas serra, per ridurre i cambiamenti climatici indotti dall'uomo, rimangono urgenti ed essenziali, anche se il loro effetto sui driver della migrazione saranno più pronunciati nella seconda metà del secolo.  Spiccano però tre priorità centrali per un'azione urgente:

1) E' fondamentale che la politica emergente che promuove l'adattamento ai cambiamenti climatici e ad ogni altro tipo cambiamento ambientale globale tenga conto del ruolo di migrazione, sia come forma che  come conseguenza dell'adattamento. «Questa non è una raccomandazione che individui, comunità e popolazioni devono essere trasferiti lontano dalle zone vulnerabili, anche se questo può a volte essere appropriato. Piuttosto, è una richiesta di cambiamento della mentalità pervasiva che la migrazione rappresenti  un problema (o solo una soluzione da "ultima spiaggia"), da evitare per ragioni di politica piuttosto che riconoscerlo. E' necessario che questa mentalità cambi presto, dato che molti dei meccanismi di finanziamento per l'adattamento sono attualmente in discussione. Inoltre, come mostrato negli esempi della Somalia e del ciclone Nargis in Birmania, i fenomeni delle popolazioni intrappolate e vulnerabili dagli eventi ambientali è un problema che esiste anche adesso, prima che il futuro cambiamento ambientale globale, lo rende più prevalente».

2) Data  la migrazione rapida e continua di persone da molte aree che sono altamente vulnerabili ai cambiamenti ambientali globali, in particolare nelle aree più povere delle grandi città costiere, sono fondamentali politiche di sviluppo urbano e per gestire la crescita urbana, «Cercando di ridurre ed evitare questa vulnerabilità e, allo stesso tempo, di promuovere lo sviluppo sostenibile ed economie low carbon.  Ancora una volta, questo è un problema imminente. Anche ora, le principali città di tutto il mondo stanno fallendo con i loro cittadini in termini di alloggi adeguati, pianificazione del territorio e coesione sociale. Il doppio impatto  dei cambiamenti ambientali e dell'aumento della popolazione su questo fragile punto di partenza significa che le sfide urbane richiedono di agire subito».

3) La cooperazione internazionale e inter-settoriale sulle decisioni strategiche è una parte essenziale per le soluzioni a lungo termine. «Sono necessari approcci coordinati, ora. Ad esempio, il rafforzamento delle capacità di allarme e di risposte di emergenza deve fare i conti con l'aumento della frequenza di eventi ambientali di estremi che minacciano la vita e il sostentamento delle popolazioni. Tali sistemi di allarme devono essere anche coordinati con la valutazione se tali popolazioni siano intrappolate nelle aree vulnerabili, a causa di potenziali conflitti o di tensione. Gli investimenti non saranno efficaci se non si coniugheranno con una politica globale rivolta a rafforzare la resilienza ed a garantire la  partecipazione dei cittadini nel far fronte alle sfide ambientali e della migrazione del futuro».

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