[04/04/2012] News

Seicento milioni per gli incentivi non sono pochi, ma soprattutto vanno usati bene

Tra le indiscrezioni su nuovi possibili difficoltà dell'Italia causate proprio dalla sua neo-politica di austerità - che secondo il Wall Streat Journal «sta arrestando lo sviluppo dell'attività economica» - e la discussa e discutibile riforma del lavoro, arrivata dopo la rivoluzione del sistema pensionistico, di fronte ad una disoccupazione a livelli record e ad un barlume di odierno miglioramento registrato dall'Istat sui conti pubblici, è questione assai dirimente quella degli incentivi pubblici per dare fiato a quel che resta dell'industria nazionale. Secondo quanto scriveva ieri il Sole24Ore, dal riassetto degli incentivi ci sono circa 600 milioni da poter utilizzare ed è bene che lo si faccia nel migliore dei modi possibili. E l'idea, sempre segnalata dal quotidiano di Confindustria, di mandare in soffitta Industria 2015, è un pessimo inizio. Non capiamo affatto come mai non sarebbe più attuale la logica di fondi per «finanziare i progetti di innovazione industriale in settori strategici (mobilità sostenibile, efficienza energetica, tecnologie per il made in Italy)».

Cos'è cambiato? L'efficienza energetica ancora oggi è indicata, tra l'altro dalla stessa Confindustria, come la miniera energetica del nostro Paese - giusto ieri hanno pubblicato un corposo speciale sul tema - con il "made in italy" tutti si riempiono da tempo la bocca e la mobilità sostenibile non ha controindicazioni. Anzi, con il petrolio alle stelle e con prospettive - nonostante i consumi Usa di benzina siano tornati ai livelli del 2001 e con nessuna prospettiva di crescita - di ulteriori rialzi del prezzo del carburante per colpa dei consumi dei Brics e delle tensioni sull'Iran, non solo la mobilità sostenibile è settore sul quale investire senza esitazioni, ma bisognerebbe focalizzare l'attenzione su un altro aspetto meno noto: il petrolio serve per la produzione di innumerevoli derivati e fa il bello e il cattivo tempo su tutte le materie prime. Tanto che specialmente per l'Europa, e per l'Italia in particolare, questa volatilità ha reso e renderà sempre più vantaggiose le materie seconde (quelle derivate dal riciclo) perché hanno prezzi assai più stabili (si pensi alle plastiche).

Un incentivo per il riciclo quindi non sarebbe affatto un'idea peregrina. Non solo, come detto già altre volte si è spostato l'asse terrestre e non si torna più indietro. Per questo nei paesi sviluppati e carenti di materie prime e pure di suolo e con la necessità di ridurre i consumi di energie e di materia, è la manutenzione dell'esistente la chiave di volta per il rilancio dell'economia reale. Incentivi per la riqualificazione degli immobili (scuole, case, ospedali...) in chiave ambientale; per contrastare il dissesto idrogeologico; per ridurre le perdite degli acquedotti; per l'acquisto di materiali provenienti dal riciclo risulterebbero un vero investimento e chiuderebbero la pagina degli incentivi a fondo perduto.

Come si è visto, è bastato avere più convinzione della necessità di sviluppare l'energia rinnovabile per arrivare in pochissimo tempo a mettere in crisi il sistema energetico basato sulle fonti fossili e mandare in soffitta - questo sì che doveva andarci - il nucleare, che ad oggi nulla avrebbe dato se non costi stratosferici aggiuntivi. Certo, non è stato governato nel migliore dei modi il cambiamento e invece è questo che la politica post montiana (se ci sarà) dovrà fare, ma la crisi ha velocizzato tutto nel male e pure nel bene. Siamo nel pieno del cambiamento e cavalcarlo per condurre in porto l'economia su lidi più sostenibili ambientalmente e socialmente parlando è per noi l'unica scelta possibile.

 

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