[29/03/2012] News

Digital Defenders: i popoli tribali e le comunità difendono con il Gps le loro terre dal land grabbing

Nelle foreste pluviali dell'Africa centrale, nell'Outback australiano, in Sud America e nel Sud-Est asiatico, si incontrano sempre più indigeni armati di dispositivi Global positioning system (Gps) che fanno rilievi per produrre mappe. La nuova arma di scelta dai popoli tribali, dalle comunità di piccoli agricoltori per difendere le loro terre dagli stranieri è la tecnologia della cartografia digitale.

L'obiettivo è quello di produrre mappe che i governi non possano ignorare e che li aiutino a rivendicare la proprietà legale delle loro terre e per combattere contro ministri e funzionari che favoriscono il land grabbing con concessioni a imprese che abbattono le loro foreste e devastano i loro territori con le miniere e l'agro-industria

Su Yale Environment 360 Fred Pearce, un giornalista freelance britannico, environmental consultant di New Scientist ed autore di libri come "When The Rivers Run Dry" e " With Speed and Violence", descrive efficacemente questo nuovo fenomeno: «Nel profondo della foresta pluviale africana e tre giorni da casa, un cacciatore tribale, discende con la barca un'area palustre, ferma la sua lancia e tira fuori un ricevitore GPS. Non ha bisogno del Global positioning system per sapere dove si trova. E' intimo con ogni centimetro delle foreste della sua tribù. Ma preme un'icona sullo schermo per identificare un luogo di sepoltura, un bosco sacro, o la ricca fauna selvatica di palude dove sta passando, poi mette il portatile nella sua borsa da caccia e lo porta via. I dati sul portatile verranno successivamente caricati su remote sensing mappe create da Google Earth. Ora la sua conoscenza può essere condivisa con il mondo».

Popoli tribali e comunità remote si trovano così sbalzati dall'arretratezza alla rivoluzione tecnologica, con migliaia di abitanti della foresta che vengono formati per coniugare i loro antichi sistemi per riconoscere il territorio ancestrale, il cui confine potrebbe essere la grande roccia a tre di cammino dal villaggio, con tecniche di mappatura digitali.

«Sta diventando un potente strumento di "advocacy" - spiega Georges Thierry Handja, un consulente tecnico camerunense che lavora per Rainforest Foundation UK (Rfuk) , una Ong molto attiva in questo campo nell'Africa centrale con il suo participatory mapping programme - Quando le comunità sono coinvolte nella mappatura loro terre, possono svolgere un ruolo importante nella conservazione, gestione e sviluppo delle foreste».

In Africa Rfuk e i suoi partner hanno aperto la strada alla cartografia partecipativa con un primo progetto pilota con i Baka (i "pigmei") per documentare la loro presenza e l'uso delle foreste al fine di condizionare lo sviluppo della politica forestale nazionale del Camerun. Poi il programma di mappatura si è esteso a Repubblica Centrafricana, Rdc, Gabon e Congo. In questo modo 300 comunità hanno realizzato mappe che coprono oltre 2 milioni di ettari, dando così voce ed ufficialità a comunità remote e diseredate che dipendono dalle foreste e dalle loro risorse naturali.

Rainforest Foundation UK lavora anche nella Repubblica democratica del Congo (Rdc), dove la "Terza Guerra Mondiale Africana" ha lasciato il territorio alla mercé di bande criminali e di imprese senza scrupoli. Il governo di Kinshasa sta cercando di zonizzzare le sue foreste, che si estendono su 316 milioni di ettari, un'area grande quasi quanto la Francia, la Germania e Spagna messe insieme, per poi assegnare grandi licenze di sfruttamento forestale ai vecchi colonialisti europei ed ai cinesi e malesi che premono per avere una fetta della torta.

Ma di fronte alla minaccia di perdere le loro terre, sia gli agricoltori Bantu che i cacciatori tribali della provincia occidentale di Bandundu, che al tempo dell'occupazione belga era un centro di raccolta della gomma, stanno mappando le loro foreste . Ogni comunità ha prodotto lo schizzo iniziale di una mappa della propria area, poi 400 volontari di 200 villaggi, hanno viaggiato per giorni in barca o a piedi, muniti di cellulari Gps per registrare le posizioni precise dei punti più importanti che avevano fissato sulle mappe comunitarie, soprattutto i confini del loro territori. Il progetto di mappatura di Bandundu nel 2011 si è classificato secondo al Buckminster Fuller Challenge awards per il "socially responsible design in solving the world's complex problems".

Cath Long di Well Grounded, una Ong che assiste le comunità forestali, spiega che nel Bandundu «Tutta la foresta appartiene a diversi clan, con confini ben delineati tra i territori del clan. Con le mappe di comunità digitalizzate dovrebbe essere relativamente semplice per le comunità ad entrare nel processo di appropriazione di un titolo formale. La domanda è: accadrà?».

Nella Rdc la mappatura delle foreste ha un aspetto fortemente politico: i "mappers" comunitari con i loro cellulari Gps stanno sfidando il procedimento di zonizzazione finanziato dal governo Usa e gestito dall' U.S. Forest Service per conto del governo della Rdc e che punta a preparare il terreno per estese concessioni nella foresta tropicale. Per produrre questa cartografia ufficiale non bisogna nemmeno andare sul campo o mettere piede in Rdc: gli americani utilizzano "remote sensing imagery" e ignorano il "community truthing." e i diritti sulla terra delle comunità forestali.

«In teoria - spiega Pearce - la macro-zonizzazione del governo e la micro-mapping delle comunità òpotrebbero essere complementari. Ma in pratica sono in diretta concorrenza» I due progetti infatti rappresentano idee completamente diverse su chi dovrebbe controllare le foreste: la mappatura "americana" non fa alcun riferimento alle comunità locali ed alla mappatura partecipativa, alla fine la foresta sarà suddivisa in zone e assegnata ai concessionari che decideranno se e come le comunità forestali potranno vivere all'interno dei loro territori.

Ma intanto è stato raggiunto un accordo per una nuova legge della Rdc che stabilisca i diritti delle comunità sulle e definisca come utilizzare le loro mappe per ottenere il titolo formale di proprietà. Ma le Ong dicono che la nuova legge è ferma da mesi sulla scrivania del primo ministro, che non l'ha ancora presentata al Parlamento.

Il progetto fa parte di un movimento che si sta estendendo rapidamente dalle foreste pluviali della Guyana a quelle boreali delle comunità indigene del Canada, ma anche nelle baraccopoli urbane dell'India. L'idea, che parte addirittura dall'azione comunitaria nel South Bronx, a New York negli anni ‘90, è quella che le popolazioni locali documentino il "possesso" delle loro aree per difenderle dalle multinazionali del legno o dagli speculatori immobiliari.

A febbraio in Guyana 20 comunità agricole e di pescatori dei popoli indigeni Wapichan hanno annunciato il completamento della mappatura digitale di 3 milioni di ettari di foreste, pascoli e zone umide per ottenere il titolo di proprietà delle loro terre, per poterle proteggere dai progetti di costruzione di strade e di una diga. Proprio come successo in Africa, il popolo Wapichan ha riunito i suoi villaggi discutere come identificare confini e caratteristiche della loro terra , quindi hanno utilizzato il Gps per defionire la posizione dei loro campi coltivati, dei siti spirituali e culturali, dei illaggi e delle Aziende faunistico venatorie, censito i giaguari, le lontre giganti, pesci e uccelli endemici. Gli schermi Gps presentano simboli personalizzati, con caratteristiche facilmente riconoscibili dai Digital Defenders indigeni.

«Dopo 10 anni di lavoro, siamo molto orgogliosi del risultato finale - ha detto a Yale Environment 360 Kid James della South Central People's Development Association che ha fornito la tecnologia - Ora vogliamo condividere la nostra mappa territoriale con le autorità governative per mostrare il modo in cui occupare ed utilizzare il territorio secondo i nostri costumi e come siamo attaccati al nostro territorio».
Sembra superata l'epoca in cui le associazione ambientaliste straniere producevano mappe di foreste e territori indigeni per salvarli dall'invasione dell'industrie minerarie e del legname, le comunità hanno preso la tecnologia nelle loro mani e la stanno utilizzando per esigere i loro diritti ancestrali. Il movimento dei Digital Defenders si sta estendendo negli slums urbani, nelle baraccopoli, nelle favelas e in altri insediamenti non mappati in tutto il mondo in via di sviluppo, dove la mappatura comunitaria viene utilizzata dalle comunità per difendersi dagli speculatori sviluppatori immobiliari. Nelle sterminate baraccopoli delle megalopoli del mondo ci sono strade e interi quartieri che spesso non sono segnati sulle mappe ufficiali, anche questa, come le impenetrabili foreste del Congo o della Guyana, sono terra incognita per le istituzioni ufficiali. Mappando le strade, le case e le attività commerciali delle loro comunità, gli abitanti delle baraccopoli segnalano la loro esistenza ed i loro diritti, irrompono nell'ufficialità economica e sociale.
Il prossimo numero della rivista Environment and Urbanization racconterà alcune storie dei Digital Defenders , come la mappatura in Epworth, uno slum di Harare, la capitale dello Zimbabwe, dove i residenti hanno contrassegnato e digitalizzato confini, siepi, pozzi, servizi igienici, strade, canali d'irrigazione, e altre infrastrutture .. e dopo le hanno sovrapposte alle immagini satellitari di Google Earth. «Poi - spiega Beth Chitekwe-Biti di Dialogue on Shelter for the Homeless dello Zimbabwe Trust - hanno inviato i dati digitalizzati ai funzionari della pianificazione, come parte di una campagna per ottenere che la loro esistenza come squatter colony sia ufficialmente riconosciuta dalla legge». 

Iniziative simili sono in corso nelle poverissime periferie di Cuttack, nello stato indiano di Orissa, nella capitale del Kenya Nairobi e in diverse città in Uganda. Secondo Environment and Urbanization «Quando i funzionari non vedranno più le baraccopoli come un territorio ostile e sconosciuto, quando le riconosceranno come luoghi dove persone reali hanno vissuto per decenni, costruendo comunità, migliorando le loro strade e svolgendo attività, allora cominceranno a vedere la ragione per preservarle e e investire su di loro, invece di spazzarle via. Allo stesso modo, la speranza è che una volta che gli abitanti della foresta pluviale saranno visti come custodi dei boschi piuttosto che distruttori, i loro diritti potranno essere più facilmente garantiti».

Torna all'archivio