[20/03/2012] News

Complicazioni delle semplificazioni e salta ancora la bussola del riciclo

All'art. 24 comma 2 lettera d-bis del decreto semplificazioni si cita l'articolo 194, comma 3, dove è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «le imprese che effettuano il trasporto transfrontaliero di rifiuti, fra i quali quelli da imballaggio, devono allegare per ogni spedizione una dichiarazione dell'autorità del Paese di destinazione dalla quale risulti che nella legislazione nazionale non vi siano norme ambientali meno rigorose di quelle previste dal diritto dell'Unione europea, ivi incluso un sistema di controllo sulle emissioni di gas serra, e che l'operazione di recupero nel Paese di destinazione sia effettuata con modalità equivalenti, dal punto di vista ambientale, a quelle previste dalla legislazione in materia di rifiuti del Paese di provenienza». 

Che cosa significa in soldoni? La "traduzione" delle Associazioni di FISE/CONFINDUSTRIA Assoambiente - Associazione Imprese Servizi Ambientali e Unire - Unione Imprese del Recupero è che se questo articolo (al vaglio del Senato dopo la fiducia posta alla Camera dei Deputati) sarà definitivamente approvato e entrerà successivamente in vigore: «il sistema nazionale di raccolta e gestione dei rifiuti rischia di entrare in una situazione di empasse». Perché? «Concordiamo sull'obiettivo dichiarato della norma di garantire la tracciabilità dei rifiuti e la tutela ambientale - spiegano i rappresentanti delle Associazioni in una nota - ma riteniamo che la disposizione, così come è stata formulata, non sia in grado di centrare lo scopo, ma rischi di ostacolare e, addirittura, bloccare le spedizioni verso alcuni Paesi extraeuropei, nonché di generare contenziosi a livello europeo ed internazionale; tutto ciò compromettendo l'equilibrio del sistema nazionale di raccolta e recupero dei rifiuti, con pesanti ripercussioni per le imprese del settore, sia in termini economici che occupazionali».

Ai fini strettamente ambientali, infatti, non si capisce perché se ci sono regolamenti comunitari in materia, se ci sono accordi bilateralli fra stati, a che cosa serve  una dichiarazione che chiede come nel paese di destinazione nella legislazione nazionale vi siano norme ambientali più rigorose? Messa così appare quindi soltanto un'aggiunta di inutile burocrazia - peraltro in un decreto che si chiama "semplificazioni" che complica ancor di più il lavoro in un settore dove proprio l'eccesso di leggi genera confusione, diseconomie e impatti ambientali peggiori di quelli che si vogliono contrastare.


Tant'è che nella nota delle associazioni già si prefigurano come conseguenze che «la dichiarazione richiesta dalla norma in discussione, non risultando tra i documenti obbligatoriamente previsti dal Regolamento comunitario 1013/06 sull'import-export di rifiuti, rischia di essere difficilmente ottenibile dalle Autorità dei Paesi di destinazione, oltre che di porsi in contrasto con le norme comunitarie che prevedono, nel caso dei rifiuti recuperabili della Lista "verde" del Regolamento (come carta, vetro, plastica, gomma, ecc.), solo obblighi generali di informazione. Inoltre, quand'anche l'impresa che organizza il trasporto riuscisse ad ottenere tale dichiarazione dall'Autorità straniera, la veridicità della stessa, considerata la sua indeterminatezza, non sarebbe oggettivamente riscontrabile dalle Autorità italiane. Oltre alle evidenti gravi conseguenze per l'ordine pubblico (il blocco di tutte le esportazioni prive di tale dichiarazione provocherebbe intasamento dei porti, delle dogane, ecc.)».

 

Punto di vista confermato a greenreport.it anche da Enzo Scalia di Interseroh Italia: «sono d'accordo sulla necessità di chiedere il massimo rigore e la verifica delle condizioni di lavoro e il rispetto delle condizioni ambientali, ma per farlo bisogna trovare condizioni applicabili e non fermarsi alle petizioni di principio. Il rischio è altrimenti di non ottenere il raggiungimento dell'obiettivo della tracciabilità nella filiera - che è assolutamente condivisibile - ma di bloccare il'intero settore, soprattutto quel settore che già opera nel pieno rispetto dei criteri di sicurezza ambientale e del lavoro».

Ma c'è di più, perché dalla suddetta nota delle Associazioni emerge che «si prevedono pesanti danni all'economia del nostro Paese, considerato che i rifiuti, come nel caso del macero, della gomma e di altre tipologie di materiali recuperabili, sono anche merci per le quali esiste oggi un mercato globale, a causa delle limitate capacità di assorbimento degli stessi da parte dei settori produttivi italiani. Per alcuni settori, come la carta, l'esportazione verso mercati extra-europei rappresenta infatti uno sbocco necessario per avviare a riciclo ingenti quantità di materiali raccolti e selezionati, i quali, se destinati a Paesi che lo considerano rifiuto, devono essere esportati come tali, in base alle regole europee. Per la sola carta, ad esempio, nel 2010 sono state esportate oltre 1,6 milioni di tonnellate di macero, di cui mezzo milione sono finite in Cina, mentre 75.000 tonnellate di pneumatici fuori uso e derivati sono state destinate a Paesi come la Malesia e la Corea del Sud». Si afferma dunque, ma per noi non è certo una novità, che la carta raccolta in modo differenziato ha grandi difficoltà ad essere riciclata in Italia. Questo intanto ri-conferma l'enorme "spread" che c'è da la raccolta differenziata e il riciclo e poi che l'opzione riciclo piuttosto che il recupero energetico in Europa ha difficoltà nel trovare sbocchi, mentre ne trova di più in Paesi extra-europei.

Un paradosso nel paradosso, per un Paese come l'Italia e un continente come l'Europa che ha penuria di materie prime e che non riesce tuttavia a creare un vero mercato di quelle seconde. Con la raccolta differenziata, come si evince da questo spaccato di realtà, i rifiuti non solo non spariscono, ma il loro riciclo avviene - quando avviene - soprattutto in paesi lontani. Una filiera lunghissima sia quindi come input che come output che fa a cazzotti con la sostenibilità ambientale. Non meno importante, anche se non se ne parla nel comunicato, considerare tutto quello che è scarto di questa poco virtuosa filiera che, tanto per dirne solo una, vede come residuo del riciclo per ogni chilo di carta da 0,2 a 0,5 chili (stando a chi la produce) di fanghi e pulper. Rifiuti tra l'altro speciali, che oltretutto difficilmente trovano una allocazione diversa se non in qualche discarica. Vi sembra possibile che di fronte a questo stato delle cose e alla necessità di rendere efficiente una volta per tutte la filiera si aggiunga burocrazia alla burocrazia e si combattano battaglie - peraltro in nome dei "rifiuti zero" - contro ogni e qualsiasi impianto di trattamento di quanto faticosamente e giustamente raccogliamo in modo differenziato (oltretutto con super incentivi)?

 

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