[19/03/2012] News

Riduzione sussidi a combustibili fossili: "Occupy Nigeria" non parla la stessa lingua di "Occupy Wall Street"

All'inizio di gennaio decine di migliaia di nigeriani sono scesi in piazza per quello che è stato chiamato "Occupy Nigeria", ma a differenza di "Occupy Wall Street" (che è tornata ad assediare pacificamente Zuccotti Park ed a scontrarsi con i poliziotti)  e degli altri "Occupy" fioriti in Occidente , "Occupy Nigeria" è sceso per le strade per opporsi alla decisione del governo di ridurre le sovvenzioni ai combustibili fossili. In una sola notte il prezzo della benzina in Nigeria era più che raddoppiato a causa delle nuove politiche del governo di Abuja che vuole portare i prezzi dei carburanti più vicini a quelli del mercato globale, ma la decisione ha provocato le proteste e una forte disagio economico per i nigeriani. Si tratta quindi dell'esatto contrario di quanto chiedono gli "Occupy" occidentali, dove sono molto presenti gli ambientalisti e i sostenitori delle energie rinnovabile che vogliono la riduzione delle sovvenzioni ai combustibili fossili per rendere più competitive le tecnologie alternative. 

Su "Revolt", il blog energetico e climatico del Worldwatch institute, Eric Anderson fa notare che «Se i sussidi al consumo di combustibili fossili fossero eliminati entro il 2020, la domanda di energia si ridurrebbe del 4,1% e le emissioni di gas serra del 4,7% , grazie al risparmio energetico ed allo sviluppo delle risorse rinnovabili. Inoltre, le sovvenzioni tendono a essere regressiva, beneficiando le popolazioni più ricche a livello globale, con solo il 9% dei sussidi per l'elettricità che vanno al 20% più povero della popolazione. Aumentando il prezzo finale dei combustibili fossili a prezzi di mercato, i Paesi possono scoraggiare l'industria inefficiente e promuovere progetti di energie rinnovabili e posti di lavoro verdi». 

Nel 2009, i Paesi del G-20, riconoscendo i loro forti impatti ambientali, si erano impegnati ad eliminare o a razionalizzare tutti i sussidi inefficienti ai combustibili fossili. Ma nessun  Paese ha mantenuto la promessa, sia perché comporta misure impopolari che per le diverse tipologia delle sovvenzioni.

Secondo il World energy outlook 2011 dell'International energy agency (Iea), partire dal 2007 l'80%  dei sussidi globali al consumo avvengono in Paesi che sono esportatori netti di combustibili fossili. Nel solo 2010, le sovvenzioni degli esportatori netti sono state di 331 miliardi di dollari, contro i 78 miliardi di dollari concessi nei Paesi importatori netti.  In Medio Oriente i sussidi sono arrivati a 166 miliardi di dollari, cioè il 41% del totale mondiale. Solo in Iran i sussidi sono stati 81 miliardi di dollari, nel piccolo Kuwait toccano il record di 2.800 dollari a persona. I sussidi ai combustibili fossili in Iran, Iraq e Uzbekistan sono circa il 10% per cento del Pil nazionale, il Turkmenistan arriva quasi al 20%.

Anderson sottolinea che «La riduzione dei sussidi nei Paesi esportatori netti avrebbe l'impatto maggiore per  ridurre le emissioni di gas serra. Tuttavia, diminuire i sussidi in questi Paesi si dimostrerebbe anche più politicamente controverso. La Nigeria è un chiaro esempio di come la riduzione delle sovvenzioni ai combustibili fossili può causare proteste di massa». 

La maggioranza dei nigeriani vive con meno di  2 dollari al giorno e l'aumento del prezzo della benzina da  0,40 a 0,86 dollari al litro (un sogno per noi italiani che ormai la paghiamo 2 euro) ha fatto schizzare in alto l'inflazione. Il governo federale e quelli degli Stati nigeriani hanno promesso che il denaro risparmiato in sovvenzioni verrà utilizzato per costruire infrastrutture, ma il movimento "Occupy Nigeria" non ha fiducia nel governo e la gente dice che gli unici che ci guadagneranno sono le compagnie che distribuiscono carburante. I manifestanti hanno fatto circolare una stima (contestata da governo e compagnie petrolifere) che fissa il costo effettivo della produzione di benzina in Nigeria a circa 0,25 dollari al litro, quindi non ci sarebbe mai stato bisogno di sovvenzioni (e dell'aumento odierno) dato che il prezzo locale del petrolio è sempre rimasto al di sopra di questo livello. Il ragionamento ha il difetto di calcolare le sovvenzioni agli idrocarburi basandosi su una situazione locale nel mondo della globalizzazione: calcolarle in base al costo di produzione piuttosto che al prezzo di mercato internazionale. 

Non a caso l'iniziativa del G20 di ridurre i sussidi si è impantanata sulla lite per definire cosa sia davvero una sovvenzione. «La maggior parte dei Paesi importatori netti sostiene un approccio "price gap"  per calcolare i sussidi, nel quale viene confrontato il prezzo medio di mercato con  l'"actual end-use price" - scrive Revolt -. Alcuni esportatori di petrolio, invece, vogliono che le sovvenzioni vengano definite come la differenza tra il costo di produzione e l'end-use price. In questi Paesi esportatori di petrolio, i costi di produzione sono notevolmente inferiori ai prezzi di mercato e, quindi, le Nazioni sono in grado di offrire prodotti petroliferi ai propri cittadini a prezzi ben al di sotto del prezzo di mercato, ma ancora al di sopra del costo di produzione. L'Arabia Saudita  ha la migliore articolazione di questa posizione, sostenendo che questo basso costo per l'utente finale rappresenta un "vantaggio comparativo" nella produzione petrolifera globale, piuttosto che una sovvenzione».

Negli anni '70 i Paesi Opec sono riusciti ad esercitare il controllo sui giacimenti produttivi e a far pagare prezzi più elevati per l'estrazione alle compagnie petrolifere che operano entro i loro confini. «Queste tariffe elevate per la produzione di petrolio sono la causa principale della differenza tra i costi di produzione del petrolio e il prezzo di mercato globale - spiega  Anderson - Così il "vantaggio comparativo" che l'Arabia Saudita sostiene di avere deriva dalla sua capacità di caricare i suoi cittadini di un prezzo del greggio più vicino al costo di produzione, riducendo l'impatto degli onorari riscossi sulla produzione di petrolio all'interno dei suoi confini».

Gli ambientalisti, i difensori dei diritti umani e molti economisti vedono negativamente i sussidi nei Paesi esportatori di petrolio, spesso invocando ipotesi di "rentier economy", secondo le quali gli Stati esportatori di risorse non devono poter contare sulla tassazione, non hanno bisogno di legittimare lo Stato attraverso il governo dei servizi, le sovvenzioni di grandi dimensioni all'energia sono viste quindi come un modo dei governi per  corrompere i loro popoli, ridurli alla passività politica. Dunque le campagne anti-sovvenzioni dicono che spesso tali sussidi non servono a nulla se non a sostenere i regimi oppressivi dei Paesi esportatori di petrolio. Secondo Anderson, «Questo è parzialmente dovuto ad una distorsione storica contro la rendita come forma di profitto, che talvolta viene definito come "a break in the work-reward causation". In generale, l'ipotesi economia della rendita tende a sorvolare sulle differenze culturali tra gli esportatori e gli altri fattori economici e ad ignorare gli sforzi di costruzione dei programmi di welfare volti a costruire la legittimità dello Stato».

Quindi l'idea "occidentale" di ridurre le sovvenzioni globali al consumo di combustibili fossili non tiene conto delle reali condizioni dei Paesi esportatori di petrolio. «Nel definire le sovvenzioni, entità come il G20, tendono a vedere il prezzo di mercato come il prezzo "naturale" del petrolio nel mondo, non riuscendo a tener conto del fatto che il prezzo di mercato è gonfiato artificiosamente da fattori extramercato. Invece, per quanto riguarda le sovvenzioni, perpetuano un «Sistema di scambio fondamentalmente ingiusto - dice il Woldwatch instutute - Così, la nozione che le sovvenzioni devono essere "razionalizzate", in sostanza ritiene  che siano innaturali, ma occasionalmente possono beneficiare alla società, va contro la logica delle Nazioni esportatrici che vedono le sovvenzioni come accettabili a meno che non si provi che siano dannose».

Detto questo, «Nel complesso, ridurre le sovvenzioni ai combustibili fossili a livello globale è importante per l'avanzamento delle tecnologie rinnovabili», dice Anderson.  Quindi, le critiche alle sovvenzioni dovrebbero  concentrarsi sugli impatti negativi dei sussidi, «In particolare sulla loro tendenza a promuovere l'industria inefficiente, ad incoraggiare il contrabbando internazionale ed a fornire benefici regressivi».Gli avversari dei  sussidi «Dovrebbero evitare generalizzazioni e invece dovrebbero esaminare le sovvenzioni, caso per caso in ogni Paese. Devono essere presi in esame sussidi alternativi che difendono i poveri dagli effetti negativi della riduzione delle sovvenzioni ai combustibili fossili. Gli importatori netti devono ridurre i sussidi ai combustibili fossili». Cosa che non sono riusciti a fare, visto il fallimento degli impegni sottoscritti dal G-20, anche la  crescente ostilità verso i Paesi Opec e del Medio Oriente con un impegno comune.

Ma per Anderson il fallimento delle riduzioni delle sovvenzioni ai combustibili fossili in Nigeria dimostra anche un'altra cosa: «I governi devono lavorare con la propria gente e guadagnare la loro fiducia, al fine di evitare giochi pubblici. La resistenza popolare è stata ulteriormente rafforzata da statistiche contrastanti  provenienti dai diversi ministeri della Nigeria e questo in quello che è considerato tra i governi con i più alti livelli di corruzione in tutto il mondo. In Paesi come la Nigeria, i sussidi per i combustibili fossili non possono essere semplicemente ridotti in un soffio. Invece, i governi devono definire un quadro di come alternare i sistemi di sostegno da realizzare per mettere le persone al riparo dagli effetti negativi della riduzione delle sovvenzioni e di come le maggiori entrate dello Stato saranno reinvestite nella comunità».

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