[15/03/2012] News

Wen Jiabao: ĞLa Cina rischia una nuova rivoluzione culturaleğ

L'agenzia ufficiale cinese annuncia che domani uscirà su "Qiushi" «Alla ricerca della verità") la rivista ufficiale del Partito comunista cinese (Pcc) «un articolo del vice-presidente cinese, Xi Jinping, che fa appello a degli sforzi per preservare la purezza del Partito».

Xi è anche membro del Comitato permanente dell'Ufficio politico e della segreteria del Comitato centrale del Pcc e vice-presidente della Commissione militare centrale e, soprattutto, sembra destinato a diventare segretario generale del Pcc e Presidente della Repubblica popolare al posto di Hu Jintao.

Non è certamente un caso che l'articolo, intitolato "Fare solidi sforzi in tutti i tipi di lavoro per preservare la purezza del Partito", venga annunciato tanto solennemente e che arrivi dopo la conclusione dell'Assemblea nazionale popolare (Anp - il Parlamento cinese) che ha riservato non poche sorprese e presentato una Cina molto meno monolitica e più incerta del suo futuro di quanto si volesse far credere.

Riecheggiano ancora le parole dette dal primo ministro Wen Jiabao durante la conferenza stampa che ha fatto il bilancio della sessione dell'Apn: «La Cina ha bisogno non solo di una riforma economica, ma anche di una riforma politica, in particolare del suo sistema di direzione del Partito comunista cinese e del governo. Delle tragedie quali la Rivoluzione culturale potrebbero di nuovo prodursi in Cina. il Paese non riesce a promuovere la sua riforma politica al fine di eliminare i problemi nella società. Senza delle riforme più approfondite, la Cina rischia di perdere I risultati della riforma e I'apertura acquisiti nel corso dei tre ultimi decenni, perché i nuovi problemi, quali la ripartizione ineguale dei redditi e la corruzione non sono ancora risolti. La riforma è entrata in una fase critica. Le riforme devono avanzare, non stagnare o addirittura arretrare».

Wen ha poi fatto quella che sembra un'autocritica della vecchia guardia che ha guidato la crescita sfrenata della Cina comunista-ipercapitalista, dicendo di assumersi «La responsabilità per i problemi comparsi nell'economia e nella società cinese nel corso del mio mandato. Sono veramente desolato. Causa dei limiti delle mie competenze ee di altri fattori, in particolare istituzionali, il mio lavoro può essere ancora migliorato. Però, non ho mai commesso degli errori intenzionali, per aver mancato al dovere, nel quadro delle mie funzioni».

Le parole del premier cinese uscente non sono molto diverse da quelle sentite da altri alti dirigenti cinesi che sono intervenuti all'Apn e l'autocritica nasconde lo scontro interno al Pccc sulla necessità di mettere in atto le riforme più che fare un bilancio dell'ultimo decennio che h a visto la cina crescere a percentuali intorno al 10% del Pil. La generazione attuale dei comunisti cinesi, incarnata da Hu Jintao e Wen Jiabao, è arrivata al potere tra l'autunno del 2002 e la primavera del 2003 per mettere fine all'era maoista e completare la svolta capitalista voluta da Deng Xiaoping; il potere comunista cinese comincerà a cambiare volto alla fine dell'anno, ma di fatto la successione è già iniziata ed anche il settantenne Wen Jiabao sarà sostituito in modo indolore il 15 settembre.

Il bilancio del decennio della (mancata) crescita armoniosa del socialismo di mercato ha trasformato la Cina nella seconda potenza mondiale, trasformando un Paese che predicava l'internazionalismo proletario e che era ripiegato su sé stesso, nell'ineludibile gigante economico e politico che conosciamo. Nonostante le differenze siano visibili e la tentazione di un giro di vite di fronte alle difficoltà economiche, ambientali e sociali che emergono sia forte , probabilmente la strada della "riforma" resta obbligata ma è sempre più difficile capire se il Pcc riuscirà ad attuarle con successo.

Il richiamo ai settarismi ed agli orrori della Rivoluzione culturale di Wen servono proprio a ricordare che la Cina e il potere comunista non possono permettersi strappi, ma anche che il controllo su un Paese così vasto, popolato ed abitato non può essere totale e che l'egemonia del Pcc rischia grosso, visto che è già appannata dalla corruzione, dagli scandali e dai privilegi.

La "gioventù ribelle" che Mao Tse-tung utilizzò per far fuori i suoi avversari "revisionisti" potrebbe risorgere con nuovi volti in Cina e probabilmente non quelli che affascinarono l'estrema sinistra europea che scambiò una brutale lotta di potere per un'esperienza sociale grandiosa che avrebbe cambiato la civiltà e che invece si trasformò nella persecuzione degli intellettuali e ispirò genocidi  di regime come i Kmer rossi o guerriglie feroci come Sendero Luminoso in Cile, i Naxaliti in India e il Partito comunista nepalese.

Per i cinesi quella rivoluzione settaria scatenata da Mao resta il simbolo di un totale disastro socio-economico e della carestia, qualcosa di molto simile al "grande terrore" di Stalin in Unione Sovietica nel 1937 che portò all'eradicazione dell'élite comunista post-rivoluzionaria formatasi negli anni '20.
I comunisti cinesi guardano la società che hanno costruito, certamente più ricca, ma vedono che l'eguaglianza e la giustizia sociale che avevano promesso non ha trionfato e che il progresso infinito si è trasformato in disastro ambientale.

A qualcuno potrebbe venire la tentazione di unificare le mille rivolte locali per l'ennesima conquista del potere nella continuità del regime. Non a caso nella conferenza stampa di Wen Jiabao i termini "giustizia sociale" e "ineguaglianza dei redditi" sono stati quelli più citati. Gli eredi del maiosmo si trovano a fare i conti con l'irrefrenabile energia animale del capitalismo che hanno scatenato le loro riforme, con un arricchimento personale al quale non corrisponde una redistribuzione delle ricchezze attraverso una politica sociale coerentemente "socialista".

E la Cina, che ci viene presentata come modello di pragmatismo e decisionismo, deve ancora fare i conti con il sottosviluppo di molte sue regioni, da dove i contadini fuggono per trovare una briciola di benessere nelle immense periferie delle metropoli costiere. Per non parlare dell'irrisolta (e negata) questione del colonialismo cinese nelle regioni autonome come il Xinjian uiguro e musulmano e il Tibet buddista, L'abbandono delle campagne, i milioni di "migranti interni", lo scontro fra i coloni cinesi han e i popoli autoctoni che chiedono autogoverno, indipendenza e sovranità sulle loro risorse minerarie, ambientali ed idriche sono vere e proprie mine sotto il trono del Pcc.

Wen Jiabao ha citato anche un altro problema ignorato in Occidente: quello delle pensioni. In Cina attualmente non esiste un sistema pensionistico unico e generalizzato, ma una proliferazione di sistemi locali, dipartimentali, cittadini o addirittura delle imprese, con il rapido invecchiamento della popolazione la situazione potrebbe diventare insostenibile. Lo stesso vale per la sanità pubblica che è tutto meno che equa ed efficiente. La via di uscita potrebbe essere il rafforzamento del sistema educativo, per il quale Wen ha chiesto di stanziare il 4% del Pil, per formare la manodopera altamente qualificata di cui la Cina avrà sempre più bisogno. Sarebbe questa la vera "contro-rivoluzione" culturale.

Ma il governo centrale e centralista cinese si trova di fronte ad un dilemma: la stragrande maggioranza dei problemi sono "locali" ma è spesso Pechino a doversene far carico per l'incapacità, l'ingordigia e la corruzione dei quadri del Pcc. Questo "spappolamento" ha per il Partito comunista anche un risvolto positivo: fino ad ora le proteste, anche violente, non hanno preso di mira il governo centrale, visto anzi come ultima risorsa per risolvere i problemi e fare giustizia, altrimenti la tanto temuta "Rivoluzione culturale" sarebbe inevitabile.

Il Pccc guarda con crescente preoccupazione ad una società civile locale sempre più attiva e che spesso si rivolta contro le ingiustizie sociali e i danni ambientali. Ma questa democrazia "di fatto" dal basso non ha impedito che la luccicante crescita cinese delle metropoli globalizzate diventasse nelle periferie rendita o stagnazione. Per questo Wen Jiabao ha parlato della necessità di sviluppare ulteriormente la "democrazia locale" e sembra che la "Rivoluzione culturale" minacci soprattutto i dirigenti comunisti che hanno realizzato dei veri e propri principati feudali nelle province più lontane da Pechino.

Qualcuno pensa che il regime potrebbe anche sperimentare elezioni libere e con più partiti in zone dove la dirigenza comunista è troppo screditata, ma quel che è certo è che Pechino non importerà modelli di democrazia occidentale e non permetterà mai, come ha già fatto massacrando gli studenti democratici a Piazza Tienanmen, che sbocci una qualche "primavera" sul modello arabo o che ci siano intromissioni di tipo afghano.

Quel che si capisce dalla misteriosa lotta di potere, dalle formule delle liturgie comuniste cinesi indecifrabili come ideogrammi, è che la "nuova" Cina sarà un nuovo eterno adattamento alla sua storia per mantenere lo slancio dell'economia e, se sarà necessario, la nuova generazione di leader comunisti concederà anche un pizzico di democrazia ben controllata, per garantire la continuità del confucianesimo-comunista.capitalista.

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