[02/03/2012] News

Il futuro "green" dell'agricoltura europea è nella ricerca e nella diffusione della conoscenza

Dal convegno "Una Politica Argicola (per il Bene) Comune", promosso da Flc-Cgil, Firab e Legambiente, è emerso che «La crisi climatica e ambientale si incrocia a quella economico-finanziaria. Alcune importanti ricorrenze politiche, a livello globale il vertice Rio+20 sulla sostenibilità e a livello europeo la riforma della Politica agricola comune (Pac) rappresentano fattori che convergono verso la stessa direzione: la necessità di traguardare i nostri modelli di sviluppo verso un'economia 'green', a basso tenore di carbonio, realmente sostenibile e innovativa.

Un cambio di paradigma che non solo ci permetterebbe di affrontare il climate change, ma che offre anche concrete opportunità di rilancio dell'economia. Così come accade in tutti i settori produttivi, anche la filiera agroalimentare deve riorientarsi verso modelli di produzione e sviluppo sostenibili e "depetrolizzati" che richiedono ricerca e innovazione. Per questo la riforma della Pac al 2020, quella che dovrebbe porsi come traguardo la sicurezza alimentare dei cittadini europei, la dignità reddituale degli agricoltori nonché l'armonia del paesaggio rurale, deve non solo sostenere i modelli di agricoltura verdi, a partire dal e a far leva sul biologico, ma deve investire convintamente in ricerca e conoscenza».

Vincenzo Vizioli, presidente della Fondazione italiana per la ricerca in agricoltura biologica e biodinamica, ha detto che «Nella definizione della Pac post 2013 non solo bisogna promuovere in modo deciso i modelli agricoli sostenibili e virtuosi, come il biologico, ma bisogna rinnovare profondamente il sistema di produzione di conoscenze e innovazione, dedicandovi risorse adeguate. Di più. La Pac del futuro deve investire in reti di conoscenze capaci di premiare la partecipazione dei produttori e la specificità ecologica e sociale dei territori e di offrire idee innovative per un cambiamento di paradigma economico».

Il punto fermo dal quale sono partite Cgil, Firab e Legambiente è che «Il cibo e il territorio non sono merci, bensì beni comunI», così sindacalisti, agricoltori ed ambientalisti hanno sottolineato «Lo stretto nesso che lega la sostenibilità alla conoscenza, un binomio che dovrebbe essere centrale nell'orientare le scelte di indirizzo della nostra Politica agricola comune, così come nell'orientare i finanziamenti della ricerca di settore, riequilibrando i flussi di denaro pubblico dalla ricerca sull'ingegneria genetica vegetale a quella sull'agricoltura biologica e su recupero e valorizzazione della biodiversità di interesse agrario».

Massimo Morassut, della Flc-Cgil Cra, ha sottolineato che «L'esigenza di definire un nuovo modello di conoscenza nella ricerca agricola si accompagna all'istanza di riformare l'agricoltura, affinché risponda alle non più differibili esigenze di un uso rinnovabile delle risorse ambientali. Il sistema di ricerca e di acquisizione e produzione della conoscenza deve pertanto orientarsi e convergere verso criteri di sostenibilità ambientale, partecipazione sociale e validazione democratica che oggi la società richiede».

Il convegno e le sue suggestioni cadiono proprio nel momento giusto per ridefinire le priorità tematiche della ricerca in agricoltura: sono in discussione le proposte legislative della Commissione Eurepea sul nuovo programma quadro di ricerca "Orizzonte 2020" e 2 giorni fa è stata resa nota la comunicazione al Parlamento Europeo sul parternariato per l'innovazione "Produttività e Sostenibilità dell'Agricoltura", collegata al nuovo programma quadro ed alle proposte di riforma della Pac. Di ricerca nel settore primario si parlerà anche il 7 marzo a Bruxelles, alla Conferenza della Commissione su ricerca e Innovazione in agricoltura alla quale saranno presenti Aiab e Firab che dicono che «Sarà l'occasione per riportare il dibattito di oggi e per mettere in primo piano l'agricoltura biologica e gli agricoltori nel futuro delle strategie di ricerca evitando che vengano considerati i soli interessi dell'industria».

Però Giorgio Zampetti, della segreteria nazionale di Legambiente, continua ad essere preoccupato: «In Italia si continua a perdere terreno agricolo e fertilità dei suoli, a consumare territorio e risorse idriche con gravi conseguenze ecologiche e ambientali, accentuate dai mutamenti climatici in corso». Una risposta forte a tutto questo può arrivare da un modello agricolo multifunzionale che ha un ruolo sempre più importante nella tutela del territorio dal rischio idrogelogico, nella gestione sostenibile delle risorse idriche e nella mitigazione dei cambiamenti climatici. Obiettivi da raggiungere nell'interesse, oltre che della collettività, degli agricoltori stessi. Per questo motivo ribadiamo che la nuova Politica Agricola Comune deve prevedere strumenti concreti per una riforma in questo senso del settore».

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