[28/02/2012] News

Crisi del welfare? Se Krugman ha ragione ci stanno fregando

«La prossima volta che sentirete qualcuno invocare l´esempio dell´Europa per chiedere di far piazza pulita delle nostre reti di sicurezza sociale o per tagliare la spesa a fronte di un´economia gravemente depressa, ricordate di tenere bene a mente che non ha idea alcuna di ciò di cui sta parlando».

Il premio Nobel Paul Krugman nelle conclusioni di questo pezzo su Repubblica sembra parlare alla nuora (gli Stati Uniti) perché la suocera intenda (l'Europa). E la sua analisi è pesante come un macigno perché nella sostanza ci sta dicendo che le ricette europee per affrontare la sua crisi e anche quelle repubblicane sempre per i guai del vecchio continente sono sbagliate e che stiamo distruggendo il welfare state senza motivo.

«È assai probabile - spiega - che chi legge un articolo d´opinione riguardante l´Europa - oppure, troppo spesso, una presunta cronaca giornalistica degli avvenimenti - possa imbattersi in una di due possibili interpretazioni, alle quali penso in termini di variante repubblicana e variante tedesca. In verità, nessuna delle due rispecchia la realtà».

E quali sarebbero? «Secondo la versione repubblicana di come stanno le cose - uno dei temi centrali sui quali batte la campagna elettorale di Mitt Romney - l'Europa si trova nei guai perché ha esagerato nell'aiutare i meno abbienti e i disgraziati, e staremmo quindi assistendo all'agonia del welfare state. Questa versione dei fatti, a proposito, è una delle costanti preferite della destra: già nel 1991, quando la Svezia si angosciò per una crisi delle banche innescata dalla deregulation (vi suona familiare?), il Cato Institute pubblicò un trionfante articolo su come ciò che stava accadendo di fatto confermasse il fallimento dell´intero modello del welfare state. Vi ho già detto che la Svezia - che ha ancora oggi un generoso welfare - è al momento una delle migliori performer e ha una crescita economica più dinamica di qualsiasi altra ricca nazione?».

Non va meglio alla versione tedesca che ha imposto la austerity perché dal suo punto di vista tutto dipende dai debiti accumulati e dall'irresponsabilità fiscale. «Questa opinione - sostiene Krugman - pare adattarsi alla Grecia, ma a nessun altro Paese. L'Italia ha avuto deficit negli anni antecedenti alla crisi, ma erano di poco superiori a quelli tedeschi (l'enorme indebitamento dell'Italia è un'eredità delle irresponsabili politiche di molti anni fa). I deficit del Portogallo erano significativamente inferiori, mentre Spagna e Irlanda in realtà avevano plusvalenze. Ah: non dimentichiamo che Paesi non appartenenti alla zona euro sembrano proprio in grado di avere grandi deficit e sostenere un forte indebitamento senza affrontare alcuna crisi. Gran Bretagna e Stati Uniti possono prendere in prestito capitali a un tasso di interesse che si aggira intorno al 2 per cento (...). In altre parole, il processo di ellenizzazione del nostro dibattito economico - secondo il quale tra uno o due anni soltanto ci troveremo nella stessa situazione della Grecia - è del tutto sbagliato».

Qual è dunque il problema? «In buona parte legata alla moneta. Introducendo una valuta unica senza aver preventivamente creato le istituzioni necessarie a farla funzionare a dovere, l'Europa in realtà ha ricreato i difetti del gold standard, inadeguatezze che rivestirono un ruolo di primo piano nel provocare e far perdurare la Grande Depressione».

A parte le conclusioni tecniche, è l'analisi politica che ci interessa e colpisce. Perché se è vero quanto sostiene - e gli argomenti sono come minimo interessanti - ci troveremmo esattamente dentro quella teoria della shock economy che Naomi Klein ci ha insegnato qualche anno fa. Chi ha letto il suo libro del 2007 si ricorderà che secondo la tesi della giornalista americana è che l'applicazione di certe politiche - tipo privatizzazioni e tagli alla spesa pubblica e liberalizzazioni dei salari (vi ricorda qualcosa?) - sia stata effettuata sempre senza il consenso popolare, approfittando di uno shock causato da un evento contingente, provocato ad hoc per questo scopo, oppure generato da incapacità politiche o da cause esterne.

Senza fare i complottisti ci pare evidente che si stia approfittando di una situazione grave per distruggere - e sinceramente si capisce solo fino a un certo punto a che pro - quanto faticosamente ottenuto dalla classe dei lavoratori negli anni. Pensioni, salari, tutele (vedi articolo 18) vengono messe in discussione di fronte a una crisi che certamente non è stata generata dai pensionati, dai salariati e dai tutelati (pochi) dall'articolo 18. O come minimo se hanno responsabilità è assai marginale rispetto a tutto il resto.

Stiamo assistendo a quello che avviene troppo spesso nelle fabbriche ovvero che si approfitta di una crisi per licenziare più gente possibile soffiando il fuoco sulla crisi stessa. La situazione Europea ormai è chiara, la Germania non accetta - e lo fa solo obtorto collo - di aiutare gli altri Paesi in difficoltà. La solidarietà è morta per i tedeschi e ci si è spaccato non a caso il partito della Merkel.

Dalle prossime elezioni si vedrà dunque dove i cittadini Ue vogliono andare e le parole di ieri di Barroso «c'è il rischio di nazionalizzazione delle politiche economiche» è l'ombra più inquietante che si sta sollevando su tutto il progetto comunitario. Nonostante questo, e anche questa è una notizia, la Serbia - che ha problemi economici non di poco conto - sta facendo di tutto per entrare nell'Ue.

Di fronte ai cambiamenti mondiali dove gli altri comunque una strada la stanno prendendo, vedi gli Stati Uniti appunto che vedono rientrare persino alcune fabbriche dall'oriente e rilanciano il made in America e la Cina, che pianifica come industrializzare l'altra parte (l'ovest) del suo continente e battezza chi può e chi non può, tra le imprese, aiutare la causa scegliendo tra l'altro anche quelle che si occupano di ambiente, l'unione europea sembra la più immobile e con le prospettive peggiori.

E questo nonostante abbia in sé ancora tutte le potenzialità per cambiare completamente il suo destino, rafforzando quell'ala ambientalista che vede nello sviluppo di una green economy vera la strada per ridare occupazione e diritti ai lavoratori e rispettare l'ambiente, risolvendo pure - almeno in parte - la storica penuria di materie prime.

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