[20/02/2012] News

Una cosa di sinistra? Difendere le commodity, i veri beni comuni

Se difendere i beni comuni, intesi come risorse del pianeta, è la battaglia epocale degli ambientalisti - e speriamo non solo la loro - bisogna che la si combatta al livello a cui si svolge. Che è giocoforza quello globale. Un loro utilizzo sostenibile che li conservi per le generazioni a venire dovrebbe essere la finalità terrestre - per dirla alla Edgag Morin - persino degli imprenditori, alcuni dei quali se ne sono accorti già da tempo.

Ma se la finanziarizzazione dell'economia e la fede cieca nel libero mercato sono due "nemici" storici delle commodity in quanto interessate a moltiplicarle virtualmente a scopo puramente speculativo e a mercificarle come se fossero infinite, veniamo a conoscenza - confessando la nostra ingenua ignoranza - dell'esistenza di corporazioni che fanno quasi impallidire tutto il resto. Non fosse altro per il fatto che ad aprire il vaso di Pandora non è un'inchiesta di un giornale semiclandestino, ma il Sole24Ore che in un rimarchevole pezzo di Marco Magrini scrive senza giri di parole dell'esistenza di un ristretto club di "misteriose regine del trading" da mille miliardi che di fatto fa (e continuerà a fare) "girare di nascosto il mondo: dai cereali della colazione, alla bistecca del pranzo; dall'accensione dell'automobile al tepore del riscaldamento".

Sembra una leggenda metropolitana messa in gira da qualche complottista, se non ci fossero nomi e cognomi verificabili e soprattutto se - come detto - la fonte non fosse il quotidiano di Confindustria. Stiamo parlando di società che si chiamano Glencore, Xstrata, Vitol, Trafigura (coinvolta anche nella vicenda dei rifiuti tossici che hanno fatto e continuano a fare strage ad Abidjian, in costa d'Avorio) che peraltro stanno lavorando ad aggregazioni monstre per dominare ancora di più il settore commodity alimentari e non. «L'opportunità - spiega Magrini -  è quella di diventare giganti in un momento in cui la fame planetaria di materie prime, dopo aver già regalato un decennio d'oro ai grandi trader, promette un'altra lunga galoppata sulle praterie della globalizzazione».

Secondo i calcoli della Reuter - si legge sempre sul Sole - «nel 2010 le prime dodici trading house del mondo hanno fatturato mille miliardi di dollari, dopo quasi dieci anni di crescita, spinta dai consumi di Cina, India e Brasile». Se questo è inquietante, è invece istruttivo sapere che «se i nomi di questi colossi non sono noti al grande pubblico come ExxonMobil o Nestlè, non è tanto per la lontananza dai consumatori finali. Quanto per una deliberata scelta di segretezza. "Prima di portare la mia azienda in Borsa, devono camminare sul mio cadavere", ha dichiarato più volte Charles Koch, che col fratello David controlla la quasi centenaria Koch Industries».

Le regine del trading non sono infatti quotate in borsa. Tranne due, e qui c'è un'altra sorpresa: «la Adm, meglio nota come Archer Daniels Midland, è quotata e, come un po' tutte le sue sorelle, è finita più volte sotto la lente dell'opinione pubblica e della magistratura. Solitamente i motivi sono due: operazioni di cartello o l'impatto sociale e ambientale delle loro attività. Il film "The Informant", con Matt Damon, racconta la vera storia di un illecito fixing dei prezzi da parte di Adm. E la solita Cargill, tanto per fare un esempio, è finita sotto accusa per l'eccessivo zelo nel trasformare la foresta pluviale brasiliana in campi di soia». «Tutte quante - prosegue l'articolo - peraltro, prediligono abitare in Paesi dove la tassazione è favorevole. Vitol, Glencore, Gunvor, Trafigura e Mercuria sono in Svizzera. Le americane hanno sede in Stati diversi, ma quella sociale è - guarda caso - nel Delaware. E anche la Louis Dreyfus ha sede a Parigi, ma fa trading dalla Svizzera e dall'Olanda».

Il destino dei beni comuni dell'intera umanità nelle mani di 12 sconosciute, ma anche per questo potentissime, società? Non sembra l'ultima fatica letteraria di uno scrittore di fantapolitica - e se anche fosse un'esagerazione giornalistica - è bene fare un'analisi attenta e veritiera di dove ci ha portato questo modello di sviluppo. Perché questo, come abbiamo detto, è solo l'ultimo tassello di un puzzle insostenibile di distorsioni economiche che hanno portato a una crisi che è contemporaneamente economica, ecologica, etica e - è forse la genesi di tutto - politica. Una politica talmente "liberista" da aver permesso un oligopolio delle materie prime, che sono semplicemente ciò che fa girare il mondo e sfama (o affama) i popoli!

E' a questo livello, quindi, ribadiamo quello globale che si può e si deve agire. E non si può fare se non con la politica. E' lei che deve decidere cosa deve essere regolato dal mercato e cosa no. Gli Stati democratici sono già tagliati fuori da questo schema, solo i cinesi stanno per metterci bocca - tanto per cambiare - e difficilmente miglioreranno il quadro. Noi riteniamo che questa battaglia siano le forze di sinistra (quelle che rimangono e quelle che cresceranno) a poterla e doverla combattere. Se non questa quale? E se per uscire dal liberismo c'è bisogno, come dice il responsabile del settore economia e lavoro del Pd Fassina, anche dei cattolici, va bene lo stesso. Non spaventano gli strani compagni di letto che si possono trovare lungo la strada della sostenibilità, lo abbiamo già scritto molte volte, qui preoccupano molto di più gli amici (ipotetici) dei nemici.

Ma questa è - tragicamente - un'altra storia.  D'altronde, se la politica non la fanno i governi ed i partiti, la fa al massimo livello chi, come i suddetti fratelli Koch che i lettori di greenreport ricorderanno quali massimi artefici e finanziatori dei think tank e dei blog degli scettici climatici, si sta comprando politici, giornali e scienziati per portare l'opinione pubblica dalla sua parte, che non è quella dei beni comuni e dell'ambiente, ma quella di un controllo della politica da parte di potenti poteri privati incontrollabili.

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