[15/02/2012] News

F35 il "taglio" del governo non basta. Pacifisti: «Decisione irresponsabile»

Secondo Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace, «E' irresponsabile la decisione di riconfermare i piani d'acquisto (seppur rivisti) dei cacciabombardieri F35: una delle più micidiali armi da guerra mai costruite, che costa circa 115 milioni di euro al pezzo. Irresponsabile è farlo mentre si costringono milioni di italiani a fare enormi sacrifici e mancano i soldi per la polizia, la giustizia, la protezione civile, la scuola, la lotta alla povertà e per gli enti locali. Come mai non ci sono i soldi per mandare i soldati a spalare la neve mentre si trovano per comprare questi bombardieri? Domani l'ammiraglio-ministrotecnico Di Paola presenterà i numeri. Da domani la parola passa ai parlamentari e alle forze politiche che hanno innanzitutto la responsabilità di trovare le risposte a queste domande: a che ci serve comperare queste spaventose macchine da guerra? Dove e quando pensiamo di impiegarle? Quanto ci costa comprarle? Quanto ci costa mantenerle? Cosa potremmo fare con gli stessi soldi?».

Massimo Paolicelli, esperto di questioni militari per Rete Disarmo, sottolinea: «Con l'ostentata volontà di andare avanti con l'acquisto del cacciabombardiere F-35 ci possiamo addirittura esporre ad un aumento delle spese militari in quanto una riduzione così piccola degli aerei che si dovrebbero acquistare (ma con i corposi tagli sugli ordinativi fatti dagli Usa) non abbassa la fattura complessiva ed anzi rischia di vedere una crescita del costo unitario. Con il risultato di acquisire aerei non ancora pronti (per le miriadi di problemi riscontrati nello sviluppo) e non avere alcun risparmio ma al contrario dover gestire per anni il mantenimento ed il supporto ad un nuovo aereo militare senza alcun ritorno reale in termini occupazionali e industriali».

Le associazioni pacifiste restano impegnate nella campagna "Taglia le ali alle armi!" contro l'acquisto da parte dell'Italia dei caccia F-35 che sta vedendo molti territori (sia con azioni della società civile che con mozioni degli Enti Locali) mobilitarsi per chiedere al governo l'uscita dal programma e una vera trasparenza sui numeri che lo riguardano. Le ultime comunicazioni degli ufficiali della Difesa, anche di fronte al parlamento, hanno diffuso dati palesemente errati ed incompleti. La mobilitazione della campagna culminerà sabato 25 febbraio con la giornata nazionale contro i caccia F-35.

La Rete Italiana per il Disarmo interviene sull'annunciata riforma della Difesa e sottolinea Che «Le comunicazioni del ministro-ammiraglio Di Paola alle Commissioni parlamentari sul nuovo Modello di Difesa, su cui si è discusso ieri in Consiglio dei ministri e che dovrà ora approdare in Parlamento con un Disegno di legge delega, è un nuovo gioco di prestigio per fingere un cambiamento di rotta che nei fatti non esiste. In pratica, la montagna ha partorito il classico topolino. Dopo aver creato ad arte un effetto attesa per una riforma complessiva dello strumento militare e l'impostazione di un Nuovo Modello di Difesa che comportasse decisi risparmi, il ministro-ammiraglio Di Paola ha presentato oggi una proposta che di nuovo ha poco o nulla, ma si preannuncia come una operazione di ripulitura con minime sforbiciate in pochi aspetti residuali senza portare un euro reale di risparmio nelle casse dello Stato».

Secondo commenta Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo, «Dopo la manovra 'Salva Italia', che ha chiesto pesanti sacrifici a tutto il Paese con tagli a pensioni, sanità e welfare ci saremmo aspettati un contributo anche dal comparto Difesa, specialmente con la soppressione di inutili e costosi sistemi d'arma come il cacciabombardiere F-35 Joint Strike Fighter. I soldi ricavati (ma non da subito) con il taglio di una parte del personale andranno invece solamente a coprire le maggiori spese previste per l'esercizio (formazione e manutenzione) ed investimento (sistemi d'arma)».

L'organizzazione pacifista spiega che «Il riequilibrio tra i costi del personale (attualmente si arriva quasi al 70%) e le altre voci di spesa militare non si configurerà come un dimagrimento dei fondi che lo Stato spende in questo comparto, sempre e stabilmente oltre i 21 miliardi di euro comprendendo anche soldi non inseriti nel bilancio del Ministero della Difesa. Con un vantaggio automatico e forte per l'industria a produzione militare e un assegno in bianco pronto ogni anno per pagare scelte di acquisizione di sistemi d'arma che una volta fatte vincoleranno il nostro Paese per decenni. L'esplosione disequilibrata delle spese militari italiane è da tempo denunciata dalla Rete Italiana per il Disarmo che ne ha sottolineato l'ingestibilità e la scarsa efficacia. Alle nostre sollecitazioni spesso si è risposto sminuendo con dati opachi il totale di spesa (per il 2012 quella prevista è di 23,1 miliardi di euro) e difendendo acriticamente una situazione evidentemente problematica. Ora che tali problemi vengono riconosciuti, forse più per obbligo congiunturale che per convinzione profonda, la risposta fornita non entra nella sostanza delle questioni e si declina in un semplice "gioco delle tre carte". Viene poi riproposta la solita lamentazione sui pochi fondi a disposizione (ieri il ministro in conferenza stampa ha parlato dei "soli 90 centesimi" per ogni cento euro di ricchezza contro gli 1,6 del resto d'Europa) ma ancora una volta presentando dati palesemente falsi. Nel conteggio infatti non vengono mai considerati i fondi delle missioni all'estero e quelli messi a disposizione dell'industria militare da parte del ministero dello sviluppo economico, in questo modo fortemente sottostimando le spese complessive».

Giorgio Beretta, un ricercatore di Rete Disarmo, ribadisce: "Se non volete credere a noi disarmisti almeno credete alla Nato, che in molti documenti ufficiali colloca la spesa militare italiana all'1.4% del Pil e non sotto l'1% come ostinatamente ribadisce il ministero della difesa ad ogni occasione».

La scelta di una Legge Delega allarma tutto il mondo del disarmo che «Ben ricorda percorsi simili (che non lasciano per nulla spazio ad un confronto reale ed aperto) anche in altre questioni riguardanti il commercio di armamenti».

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