[15/02/2012] News

Sud Sudan: la guerra del petrolio e il massacro tribale nel Jonglei

Il 10 febbraio il Sudan ed il Sud Sudan hanno firmato nella capitale etiope Addis Abeba un protocollo d'intesa di non aggressione e cooperazione che ha ridato una qualche speranza per la situazione drammatica che vive il più giovane Stato del mondo. Ma l'accordo tra Khartoum  e Juba ha fondamenta instabili, immerse nel petrolio, nel sangue di una guerra di indipendenza durata 20 anni e nei massacri etnici che devastano i due Paesi. Il Sud Sudan, indipendente dal luglio 2011, è uno dei Paesi più poveri del mondo e le sue entrate si basano al 98% sul petrolio, ma a gennaio il governo ha preso la drastica decisione di bloccare la produzione di greggio, come ritorsione contro gli attacchi sudanesi alle sue frontiere. Il Sudan si è trovato così senza le entrare delle tasse di transito del petrolio. Ma il Sud Sudan non può permettersi di rimanere economicamente isolato: la guerra ha impedito qualsiasi sviluppo delle sue infrastrutture, la produzione agricole è ben al di sotto dei bisogni della popolazione che non potrebbe sopravvivere senza gli aiuti internazionali già insufficienti, mentre lo spettro di una grave carestia si fa sempre più concreto. I soldati del Sudan People's Liberation Army (Spla), che pure assorbono il 40% del bilancio dello Stato (600 milioni  di dollari), non sembrano in grado di sedare il sanguinoso conflitto tribale nel Jonglei, Sono decine di migliaia i profughi interni sud sudanesi o che hanno attraversato il confine con l'Etiopia per sfuggire alla guerra di frontiera nella regione di Abey tra l'esercito sudanese e gruppi ribelli, con forti legami storici con la leadership del Sud del Sudan, e dai massacri etnici. A questo si potrebbero aggiungere  migliaia di persone di origine sud-sudanese che vivono in Sudan e che potrebbero essere costrette a lasciare lo Stato settentrionale perché ormai prive dei diritti di residenza. 

La situazione è spiegata bene in due dossier dell'Irin, l'agenzia stampa umanitaria dell'Onu: la secessione del Sud ha privato il Sudan di tre quarti della sua produzione petrolifera, circa 350.000 barili al giorno, per un valore stimato in 3,2 miliardi di dollari. Il greggio sud-sudanese raggiunge attraverso pipeline i terminal petroliferi sulla costa del Sudan. Quindi un accordo sui guadagni del petrolio è la base per un vero accordo di pace tra il regime islamico di Khartoum e il Sud Sudan cristiano/animista. Ma per far passare il petrolio dal suo territorio il Sudan pretende dal Sud Sudan una tassa di superiore alle tariffe internazionali e molto di più del dollaro a barile che Juba è disposta a pagare. I sud-sudanesi accusano i loro nemici settentrionali di aver "rubato" 815 milioni dollari di greggio e che la produzione di petrolio riprenderà solo dopo che il maltolto verrà restituito. Il Sudan ribatte di aver confiscato il greggio come "pagamenti in natura" per le tasse di transito non pagate. L'accordo di Addis Abeba per ora ha evitato solo che scoppiasse una vera guerra tra i due Sudan. Ma il Sud Sudan ha accusato il Sudan di aver bombardato una città di frontiera contesa e le tubazioni fermate hanno già subito due esplosioni. I più preoccupati sono i cinesi, che compravano il greggio dal Sudan ed ora dal Sud Sudan: Hago Bakheed Mahmoud, field operations manager della Petrodar, una joit venture cinese-malese che opera nello Stato dell'Upper Nile, ieri ha detto all'Irin di sperare che si sblocchi entro due o tre giorni, ma gli esperti dicono che, se non ci saranno altri intoppi, le esportazioni di greggio poitranno riprendere pienamente solo tra un mese od anche di più. «Ogni decisione sul riavvio della produzione spetta al Nord. I principali impianti di trasformazione non sono nel Sud Sudan, perciò si dovrà ricominciare tutto da capo», sottolinea Egbert Wesselink, direttore dell'European Coalition on Oil in Sudan.

Il Sud Sudan ha firmato accordi con il Kenya per costruire un oleodotto lungo  2.000 km fino al futuro porto di Lamu e c'è il progetto di costruire un altro attraverso l'Etiopia fino al porto di Gibuti sul Mar Rosso. Questo permetterebbe a Juba di affrancarsi  dalla dipendenza economica dal suo vicino settentrionale, ma per costruire l'oleodotto del Kenya ci vorranno almeno 18 mesi (ma alcuni esperti dicono 3 anni) e 3 miliardi di dollari che il governo non sa dove prendere, visto che nessuno praticamente paga le tasse.

Il governo appena nato annuncia già misure di austerità che probabilmente si trasformeranno in licenziamenti, ma lo Stato dà lavoro a 3.000.000 di persone fra militari dello Spla, ranger forestali e forze dell'ordine che resteranno fedeli finché ci saranno le sterline, ma che se licenziati si frantumeranno secondo le divisioni etniche, andando a rimpinguare le milizie tribali. Inoltre i soldati non pagati difficilmente andranno a farsi ammazzare negli scontri tribali come quelli in corso nel Jonglei, il più grande (123.000 km2) e popoloso dei 10 Stati del Sud Sudan dove vivono ben 6 etnie nilotiche: Nuer, Dinka, Anyuak, Murle, Kachipo e Jieh. La seconda Guerra civile Sudanese è cominciata nel 1983 proprio nel Jonglei ed ora vede protagonisti i Lou e le altre tribù Nuer, riunite sotto le insegne della "White Army", che originariamente erano  milizie locali che proteggevano il bestiame e che sono state progressivamente militarizzate durante la guerra, tra il 1983 ed il 2005 Diversi Dinka, una comunità molto potente, si sono uniti alla "White Army".  Dall'altra parte ci sono i Murle, un gruppo minoritario ma molto bellicoso che vive soprattutto nella contea di Pibor.

I massacri sono iniziati a causa dei furti di bestiame e sono stati fomentati da Khartoum e dalla Spla che hanno rifornito le milizie opposte di armi leggere per combattere una guerra per procura. Ma gli scontri sono continuati anche dopo l'accordo di pace del 2005 e le bande armate si sono trasformate in veri e propri eserciti tribali, costituiti da giovani dotati di armi sofisticate e telefoni satellitari, che compiono raid nei villaggi nemici, uccidono anche vecchi e bambini, stuprano e rapiscono le donne e radono al suolo tutto. Nel 2011 le violenze tribali nel Jonglei sono costate la vita ad almeno 1.100 persone. L'ultima offensiva dei Lou Nuer aveva lo scopo dichiarato di «Invadere il Murleland e di far scomparire la tribù Murle della faccia della terra», visto che il governo centrale di Juba non era riuscito a proteggere le loro donne,  i bambini e il bestiame i Nuer hanno deciso una "soluzione finale" «Con la forza delle armi».

I Murle dicono di essere discriminate politicamente e di non beneficiare dei progetti  di sviluppo e non hanno tutti I torti, visto che le autorità del Jonglei spesso li descrivono come "persone nocive" o un "flagello". Ma il vero motore di questo massacro che rischia di soffocare il Sud Sudan nella culla è il sottosviluppo: solo un'agenzia umanitaria opera nella vasta contea di Pibor per fornire cure mediche a più di 160.000 persone e i Murle non hanno scuole o prospettive di lavoro. Sono accusati di essere dei ladri ma subiscono continui assalti e sono stati rubati loro almeno 80.000 capi di bestiame, mentre decine di migliaia di persone hanno perso le loro abitazioni e si sono visti bruciare i campi coltivati nei raid della "White Army" ed ormai dipendono dalle Ong umanitarie per la loro sopravvivenza. Negli ultimi attacchi armati sarebbero morte 3.000 persone e secondo l'Onu nel Jonglei ci sono più di 140.000 profughi che hanno urgente bisogno di aiuto. Gli uomini sono rimasti senza le loro due "ricchezze": le mucche e le loro mogli (pagate con una dote in mucche) e sono incapaci di reagire,  un tipo di distruzione morale e culturale che perpetua il ciclo della violenza e delle faide tribali.

Le tribù ormai non si limitano più ad uccidere e rubare ma puntano a distruggere I servizi essenziali per le comunità nemiche, come i pozzi dell'acqua, gli ambulatori e le scuole i centri di aiuto umanitario. Medici senza frontiere (Msf) ha segnalato una recrudescenza della malaria, perché i profughi dormono all'aperto, ed un aumento dei casi di malnutrizione acuta. Inoltre Msf sta curando sempre più ferite da arma da fuoco o da arma bianca e l'Ong si è detta shoccata per il numero di bambini, donne e vecchi feriti negli attacchi. 

Prima dei  massacri, la missione Onu in Sud Sudan (Minuss) aveva inviato una colonna armata di 8.000 uomini nel capoluogo Pibor, ma poi erano rimasti solo 400 soldati della Minuss ed 800 della Spla  che non hanno potuto far altro che dire  ai  Murle di rifugiarsi dietro le linee difensive di Pibor, mentre nei villaggi dei dintorni la "White Army" seminava morte e distruzione. Ora i caschi blu sono saliti a circa 1.100 e la Minuss ha chiesto al governo di Juba di inviare «Un numero significativo di soldati» per proteggere i civili. Ma a giugno la Minuss  sarà ulteriormente indebolita dalla partenza del contingente russo che fornisce gran parte dei piloti di elicotteri ed aerei  della missione. A fine 2011 i piloti russi avevano fatto uno sciopero contro  le persecuzioni che dicevano di subire nel Jonglei da parte dei soldati della Spla.

Il governo centrale dovrebbe dispiegare fino a 6.000 soldati, 1.000 dei quali a Pibor, ma gli abitanti non si fidano perché molti militari della Spla provengono dalle tribù che li attaccano. Anche la promessa di disarmare le milizie sembra irrealistica e gli esperti chiedono al governo che nel Jonglei vengano inviate truppe non appartenenti ai gruppi etnici  in conflitto.  Intanto la "White Army" ha pubblicato una dichiarazione secondo la quale 30.000 «Giovani armati» Dinka e Nuer nel e Jonglei e 10.000 Nuer di origine etiope lanceranno all'inizio di marzo l'"Operation Savanna Storm" per prevenire i raid dei giovani Murle: «L'operazione proseguirà fino a che i Murle non rappresenteranno più nessun pericolo per i loro vicini». 

Senza le entrate del petrolio questa terribile  miscela di  tribalismo xenofobo e di guerra per le risorse peggiorerà in tutto il  Sud Sudan.  Durante la sua recente visita a Juba, Valerie Amos, emergency relief coordinator  dell'Onu, ha detto che «La situazione del Paese nel suo insieme è estremamente precaria e il rischio di un declino pericoloso è molto reale». L'Onu ha lanciato un appello per donare 763 milioni di dollari al Sud Sudan nel 2012 ed Amos ha avvertito che ci saranno «Conseguenze disastrose se non verranno  potenziate sia le capacità del governo che della comunità umanitaria e se le forniture non arriveranno prima della stagione delle piogge. A causa del conflitto, del crollo della produzione, dell'aumento della domanda e dell'impennata dei prezzi, 4,7 milioni di persone del Sud Sudan sono già ora nell'insicurezza alimentare». Secondo un rapporto del Programma alimentare mondiale  (Pam) e della Fao erano 3,3 milioni nel 2011 e il numero delle persone in grave insicurezza alimentare (cioè alla fame) potrebbe raddoppiare fino a 2 milioni se i conflitti alla frontiera ed interni continueranno a produrre profughi. La cosa potrebbe assumere dimensioni bibliche se gli immigrati sud sudanesi in Sudan fossero costretti a tornare in patria alla scadenza di aprile fissata da Khartoum e se altri rifugiati arrivassero nel Sud Sudan dagli Stati del Sudan dove sono in corso conflitti: il Blue Nile e il Sud Kordofan. Il deficit di cereali per il 2012 è già stimato in più di 470.000 tonnellate, quasi la metà del fabbisogno totale del Paese.

Sembra che, dopo quella in Somalia, un'altra tempesta umanitaria perfetta si avvicini all'Africa e il Sud Sudan potrebbe diventare uno Stato fallito, un fantasma ancor prima di uscire dalla culla dell'indipendenza.

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