[01/02/2012] News

L'austeritą europea? Di fatto la pił inutile decrescita possibile

La medicina amara da inghiottire per superare la crisi finanziaria ed economica vede il suo composto principale in una buona dose d'austerità - o meglio ancora d'austerity - che convince di più. In sintesi, questo è il pensiero-guida che muove i vertici nazionali ed europei, che si arrabattano per cercare una via d'uscita da una stagnazione economica tornata ad essere recessione. In seconda battuta si discute animosamente di un'imprescindibile promozione dell'occupazione e della crescita, con succosi piani di rilancio che però, al momento, si incagliano e non vanno oltre l'intenzione di proporre, in un futuro sempre più prossimo. In sordina, il terzo podio nella scaletta del piano di rilancio è occupato dallo sviluppo sostenibile, recentemente bisbigliate un po' più rumorosamente del solito. Ma a voler essere ottimisti questa è già una buona notizia, visti i tempi che corrono.

Tutte le misure, tutte le proposte, tutti i dibattiti sono però oscurati dall'imperativo dell'austerity, che campeggia sugli altri, ed è infatti quasi l'unico aspetto sul quale sono state al momento dirottate le azioni concrete. Ultima, in ordine di tempo, il recente accordo raggiunto in sede europea sui principi base del fiscal compact, con lo scopo di rafforzare la disciplina di bilancio ed il coordinamento delle leve economiche europee. In pratica, in seguito a quest'accordo per gli Stati firmatari (25 su 27, sono fuori Regno unito e Repubblica ceca) sarà formalizzato l'obbligo di inserire nelle varie costituzioni la cosiddetta "regola aurea", che paradossalmente prende a prestito il soprannome dalla regola morale più universale che esista; gli Stati saranno così giuridicamente vincolati a rispettare un sostanziale pareggio di bilancio, pena la possibilità di incorrere in sanzioni pecuniarie semi-automatiche.

L'Italia è riuscita ad ottenere la garanzia di particolari deroghe in caso di cicli economici particolarmente gravosi, ma la principale vincitrice è ovviamente la Germania, terrorizzata dall'inizio della crisi dall'ipotesi di "dover pagare per conto di tutti i Paesi europei non virtuosi", tra cui il nostro. La condizione posta dal pareggio di bilancio si intreccia così con l'attesa dell'ormai prossimo venturo Esm (il fondo salva-stati permanente, che da luglio dovrebbe sostituire l'attuale Efsf), ma una pallida idea di sostenibilità appare soltanto nella dichiarazione d'intenti firmata dai membri del Consiglio europeo, che recita come sia necessario «modernizzare le nostre economie e rafforzare la nostra competitività per assicurare una crescita sostenibile».

Mentre, di fatto, si temporeggia, la lancetta del tempo scorre inesorabile, ed ogni giorno in più che passa si esauriscono maggiormente le risorse di un sistema di welfare state stanco e sfibrato, accompagnato nella sua parabola discendente dalle sempre più scarse risorse naturali non rinnovabili, sulle quali è basato il nostro modello di crescita-depredazione. Il tutto, condito dalla pressione costante delle esigenze del mondo finanziario, sovrapposte ed anteposte a quelle della governance democratica, che contribuiscono in modo decisivo a inceppare la macchina decisionale della politica, quando non riescono direttamente ad eluderla.

Così, l'unica "soluzione" concretamente adottata è quella dettata dalla paura, l'austerità. Usando il machete per tagliare le spese si persegue l'illusione di riuscire a non farci sfuggire di mano il poco che resta. Come scrive però anche Martin Wolf (Nella foto), sulle pagine del Sole24Ore nella traduzione del suo ultimo editoriale uscito sul Financial Times, i membri dell'eurozona «hanno davanti una lunga convalescenza, resa ancora più impervia dall'ostinazione che la medicina giusta per i malati sia chiudere i rubinetti della spesa pubblica».

L'economista francese Jean-Paul Fitoussi, ieri in collegamento col talk show Ballarò, ha acutamente osservato come, di fatto, l'Europa stia già concretamente e ostinatamente perseguendo una sorta di decrescita malforme e sostanzialmente non governata: siamo in recessione, il Pil precipita, ma non usciamo dal mantra della crescita. Una de-crescita senza a-crescita, insomma: lo scenario peggiore. Un incubo dal quale non è possibile destarsi rimanendo imprigionati dalla paura di cambiare, ma solo spinti dalla volontà di rimettere in mano alla democrazia la facoltà di decidere quale percorso di sviluppo adottare, iniziando col sotterrare il suddetto machete dei tagli alla spesa pubblica per iniziare a ri-orientare i flussi di spesa attualmente inefficienti, per dirottarli così verso una produzione, un consumo (di materia ed energia), un ri-utilizzo effettivamente sostenibili dall'ecosistema sociale ed ecologico nel quale tutti viviamo.

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