[31/01/2012] News

Aumento dei prezzi agricoli e povertà: un'invenzione dei media?

I prezzi medi della carne, dei cereali, degli oli, dei grassi e degli zuccheri - insomma il costo dei prodotti agricoli - non sono mai stati cosi alti negli ultimi 20 anni come nel corso del 2011. Ma quale influenza ha questo dato sulla povertà e sulla fame di centinaia di milioni di persone nel mondo? 

La domanda se la sono posta nei giorni scorsi sulla rivista Science due economisti, Johan Swinnen dell'università di Leuven in Belgio e Pasquamaria Squicciarini (italiana di origine), della Stanford University di Palo Alto, in California. La risposta è stata spiazzante.

Non solo perché coincide con un onesto "non lo sappiamo". Ma perché coglie in (apparente) contraddizione le risposte di alcune grandi istituzioni internazionali, incluse la FAO (l'agenzia delle Nazioni Unite con sede a Roma che si occupa appunto di foreste e agricoltura) e OXFAM (una confederazione di 15 organizzazioni impegnate a contrastare la povertà e le ingiustizie).

Quando i prezzi agricoli scendevano, fino al 2005, sia la FAO sia OXFAM sostenevano che il basso costo dei prodotti dell'agricoltura condannavano alla povertà centinaia di milioni di persone.
Quando, al contrario, dopo il 2007 si sono impennati (nel 2008 l'indice medio è risultato di quasi l'80% superiore a quello degli anni precedenti), le stesse organizzazioni hanno sostenuto che l'aumento condannava alla povertà centinaia di milioni di persone. Gli esperti della FAO calcolarono che in quell'anno il numero di persone sottoalimentate nel mondo salì di 200 milioni di unità, passando da 800 a 1 miliardo.

Entrambi i messaggi sono quantomeno incompleti e poco fondati scientificamente, sostengono Johan Swinnen e Pasquamaria Squicciarini. Per due motivi.
Il primo è che si basano non su una verifica empirica di quante persone siano diventate più povere e abbiano sofferto la fame a causa della diminuzione e/o dell'aumento dei prezzi, bensì su modelli teorici. Che possono, appunto, sbagliare.

Il secondo motivo è che quei messaggi disegnano un quadro semplicistico. La caduta dei prezzi può favorire alcuni e sfavorire altri. Con differenze non solo tra ricchi e poveri. Ma anche tra i poveri stessi. In altri termini qualcuno, anche tra i contadini più poveri, può aver guadagnato dalla caduta dei prezzi e altri possono essersi ulteriormente impoveriti. Lo stesso vale, sostengono ancora Swinnen e Squicciarini, per l'aumento dei prezzi (si è registrata un'ulteriore impennata tra il 2010 e il 2011 dopo una breve caduta nel 2009).

Perché la FAO, OXFAM e altre istituzioni forniscono questi messaggi contraddittori? Il motivo, sostengono i due ricercatori, va ricercato nel sistema dei media. La comunicazione di massa richiede messaggi brevi, semplici, eclatanti. E le grandi organizzazioni giocoforza si adeguano, rischiano di lanciare messaggi non fondati o addirittura fuorvianti.

Certo, tutte le considerazioni sono giuste. È chiaro che una qualsiasi dinamica dei prezzi definisce dei vinti e dei vincitori, anche tra le popolazioni più povere. Certo, gli scenari andrebbero costruiti non solo sulla base di modelli teorici, ma anche di prove empiriche (è il metodo scientifico, bellezza!). Ma è anche vero che ogni fluttuazione anomala o semplicemente accelerata dei prezzi, verso l'alto o verso il basso, può cogliere nell'impossibilità di reagire la fasce di produttori e di consumatori più deboli, determinando il medesimo risultato: un aumento netto del numero di poveri e affamati. Anche se, magari, qualche povero nel processo ci guadagna.

 

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