[23/01/2012] News

I signori delle ri-commodity

Dopo i Bric, ecco i Carbs. Chi sono? Ce lo dice oggi Affari & Finanza spiegando che l'acronimo sta per Canada, Australia, Russia, Brasile e Sudafrica, paesi che hanno superato indenni la crisi perché loro sono "i signori delle commodity". Si parla di bauxite, rame, oro, nickel, zinco, potassio, petrolio, gas e carbone. Non ci sono le cosiddette terre rare, che al momento sono più che altro sotto il dominio cinese che ne produce più di tutti (quasi il 90%).

L'economia reale, pur sempre più fagocitata da quella finanziaria, sta lì a dimostrare come alla fine siano ancora energia e materia e i loro rispettivi flussi a rimarcarne i confini. Il punto, visto che siamo in presenza di risorse scarse, è che fanno gli altri. Quelli che non ce le hanno e che ne hanno bisogno e che sono pure in crisi economica.

In tempi di "signori delle commodity" servono dunque "signori delle ri-commodity", l'altra faccia della stessa medaglia. L'alternativa sono, guardando le cose a lungo raggio, i "signori della miseria" (economica, sociale, ambientale).

Si tratta di saper cogliere questa straordinaria chance: come ci insegna la natura, nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma degradandosi. Quindi al fianco di ogni produzione ci sono scarti e il prodotto stesso, presto o tardi, diventerà rifiuto. L'occasione è non perdere tutta questa materia e ri-produrre. Che significa tuttavia aggiungere energia e lavoro, quindi manifattura, quindi economia reale. Quindi costi da calcolare.

Le economie moderne che non vogliono essere schiave dei mercati (discorso a parte meritano i mercati finanziari), ma indirizzarli al fine di rendere meno pesante la presenza dell'uomo sul pianeta e non depauperi le risorse o beni comuni che dir si voglia, devono quindi rispondere a due domande fondamentali: cosa produrre e dentro quale modello di sviluppo. Che poi sta tutto insieme.

E sta insieme pure alla necessità di utilizzare di più e produrre di meno e con meno declinando il tutto sulle necessità/possibilità dei paesi maturi e di quelli in via di sviluppo. Significa politica industriale rispetto al ruolo che si vuole avere nello scacchiere economico mondiale. Un ruolo ovviamente sostenibile socialmente e ambientalmente.

Ma questo può accade se ci sono due condizioni: la volontà politica (che al momento non c'è e quindi mina tutto il ragionamento alla base e noi per questo indichiamo ancora nell'Onu, pur con sempre meno speranza, il luogo dove creare un consiglio di sicurezza sulla finanza e l'economia); la seconda condizione è che venga ridotta drasticamente la finanziarizzazione dell'economia.

Come spiega bene sempre su Affari & Finanza Marco Panara oggi «tra metter su un'impresa, conquistare un mercato, lottare con le regole, il fisco e i debitori e mettere i soldi in un hedge fund o in un private equità e incassare la rendita, non c'è partita». Il guaio è che la crisi invece di far andare in cortocircuito questo meccanismo, lo ha accelerato. Oggi Goldman Sachs conta ancor di più che prima del 2007.

Ma noi restiamo convinti che il passaggio verso un'economia meno finanziarizzata e completamente riconvertita alla sostenibilità non solo sia improcrastinabile, ma addirittura inevitabile. La differenza tra i due aggettivi è che se si capisce l'urgenza, il cambiamento è governabile, visto che ancora le commodity non sono così scarse come potrebbero invece diventare nel 2050 con oltre 9 miliardi di persone, quando l'inevitabilità della riconversione avverrà con una serie di shock che costeranno vite umane e pezzi di pianeta.

Concludiamo con una segnalazione: la nostra provocazione/idea di una società di rating sostenibile preferibile a quelle sotto inchieste ha trovato sponda sempre su Affari e Finanza e persino sul Sole24Ore. Questi strumenti, come altri, sono tali e utili fino a quando non sono loro a dettare le regole a noi e pensare di modificarli a colpi di inchieste è idea risibile.

Ricostruirli e votarli a valutazioni anche sociali e ambientali, magari allargando la discussione dalla commissione cultura di Confindustria dove è relegata a dibattito nazionale con contributi delle associazioni ambientaliste e dei sindacati, sarebbe poi un modo nuovo di cooperare e migliorare le cose e pure di riportare la polis al ruolo - e ci risiamo - che le compete.

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