[20/01/2012] News

Il neoliberismo ha allontanato la finanza dall'economia reale. E l'ha resa incontrollabile

I commenti, gli editoriali, gli approfondimenti, le riflessioni che si leggono da qualche anno e che, ormai più o meno quotidianamente, riempiono i nostri media sui tanti aspetti della crisi economico finanziaria, raramente riescono a cogliere il tema centrale di un sistema economico divenuto chiaramente insostenibile dal punto di vista della giustizia sociale e della capacità di sopportazione dei sistemi naturali.

La strada che si deve intraprendere deve assolutamente essere una strada alternativa rispetto all'attuale. L'edificio della struttura economica e finanziaria sin qui percorsa è un edificio che ormai sta crollando, non è possibile pensare solo a mettere puntelli per evitare il collasso definitivo. Bisogna ripensare e costruire le fondamenta di un nuovo edificio.

E' del tutto evidente che questo percorso non costituisce certo una passeggiata, ma impegna profondamente cultura, intelligenza, innovazione, visione delle nostre società, in parole povere, la nostra capacità di affrontare l'immediato futuro, prevederlo il più possibile e individuare strade alternative da percorrere con urgenza e lucidità.

Molti economisti ritengono che la crisi attuale derivi da una carenza della domanda di beni e servizi sul mercato. Si tratterebbe quindi di una crisi che può avere avuto origine da una crescita delle diseguaglianze a livello di reddito e di ricchezza che si è verificata negli ultimi decenni in Occidente, che ha prodotto un significativo incremento del Prodotto Interno Lordo (PIL) dei principali paesi, destinato al capitale e, invece. una diminuzione della parte destinata al lavoro.

Questo fenomeno avrebbe appunto provocato l'impossibilità per le classi medie e popolari di accrescere i propri consumi. In questo scenario costituirebbe un peso significativo anche la carenza di una nuova ondata tecnologica che, nel passato, è stata più o meno sempre all'origine dei diversi periodi di forte crescita economica che si sono succeduti.

In questo ambito il lavoro teorico e pratico che si sta conducendo sul tema della Green Economy, quindi con uno sviluppo di forti investimenti in un'economia a basso o nullo contenuto di carbonio, che dia grande rilievo al capitale naturale ed alle tecnologie innovative a minor impatto ambientale in tutti i campi e che vede tanti organismi internazionali in prima fila, come il Programma Ambiente delle Nazioni Unite (United Nations Environment Programme, UNEP, vedasi il sito www.unep.org/greeneconomy un importante sbocco che può aiutare significativamente le nostre società ad uscire dalla crisi.

Un momento particolarmente significativo per l'impostazione condivisa a livello internazionale di una Green Economy è attesa dall'importante Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile che avrà luogo a Rio de Janeiro, nel giugno prossimo (vedasi il sito della Conferenza www.uncsd2012.org).

Ma credo che resti a tutti evidente che non si può più proseguire con un'impostazione di capitalismo finanziario così come sino ad oggi è stato voluto e perseguito.  Il medico ed economista austriaco  Rudolf  Hilferding (1877 - 1941), un intellettuale particolarmente impegnato politicamente nel marxismo, scrisse un libro molto interessante dal titolo "Il capitalismo finanziario" pubblicato nel 1910, mise l'accento su di una mutazione che lui intravedeva nel sistema capitalistico e che consisteva nel fatto che il settore finanziario dell'economia prima aveva teso a rendersi autonomo da quello produttivo e successivamente a dettare legge anche ad esso.

Inutile dire che questa importantissima riflessione che ha certamente subito un relativo declino nel periodo del secondo dopoguerra, oggi si è riproposta in maniera molto forte ed evidente ai nostri giorni, quando in particolare l'attuale crisi che stiamo attraversando ha mostrato la supremazia dei fenomeni di finanziarizzazione dell'economia.

Basti pensare, a titolo di esempio, il fatto che le attività di tipo finanziario rappresentano ormai un multiplo sempre crescente del PIL del mondo e di quello di tutti i principali paesi occidentali, e che il settore finanziario tende a ottenere una quota crescente dei profitti complessivi generati in molti paesi ogni anno.

Questa dimensione è stata fortemente supportata da una vera e propria ideologia neoliberista, una dimensione culturale dominante negli ultimi decenni, almeno nei paesi occidentali e che predica la riduzione al minimo dell'intervento dello stato in economia, promuove le liberalizzazioni, la deregolamentazione anche nel settore finanziario, le privatizzazioni, con il convincimento che il mercato, lasciato a se stesso, è in grado di risolvere in ogni caso i problemi meglio dell'intervento pubblico.

L'ideologia neoliberista viene collegata al cosidetto "Washington Consensus", che persegue principi simili che sono stati applicati, nelle loro attività, dai grandi organismi internazionali di sviluppo e finanza, quali la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, ai paesi più poveri.

Il complesso di queste situazioni ci ha condotto ad una sorta di "casino finance" (termine utilizzato come riferimento alle modalità di funzionamento dei mercati e delle istituzioni finanziarie in molti paesi nell'ultimo ventennio) e cioè un sistema finanziario che trascura il sostegno all'economia reale, cioè alla produzione di beni e servizi da parte in particolare delle imprese e volge, invece, la sua attenzione soprattutto alla speculazione e al raggiungimento di ritorni molto elevati, prendendosi anche molti rischi.

Questo sistema, come ormai ben sappiamo, ha condotto ad una forte e progressiva tendenza alla deregolamentazione e cioè a ridurre significativamente il peso delle normative e dei controlli pubblici che regolano l'attività dei mercati e l'operare delle imprese; questa "linea di pensiero" è stata fortemente voluta nelle politiche di Margaret Thatcher in Gran Bretagna e da Ronald Reagan negli Stati Uniti:

Inutile dire che questo sistema complessivo di capitalismo finanziario e di deregolamentazione che, negli ultimi venticinque anni è esploso in particolare nei mercati finanziari e valutari dei paesi occidentali ha contribuito in maniera molto rilevante all'attivazione dell'attuale drammatica crisi.

Uno degli economisti che ha analizzato bene questi fenomeni è stato  lo statunitense Hyman Philip Minsky ( 1919 - 1996). Minsky forse meglio di ogni altro economista aveva già diversi anni fa analizzato i meccanismi delle crisi finanziarie attraverso le sue varie fasi e aveva in particolare descritto il ruolo avuto dalle banche nelle crisi stesse.

Minsy riteneva questo ruolo come degli destabilizzatori endogeni dei mercati finanziari. Una sua idea di base è quella che, per permettere un tranquillo svolgimento delle attività economiche private, bisognerebbe socializzare il sistema del credito.

Detto in maniera molto semplice Minsky  che ha proposto alcune teorie per mettere  in relazione la fragilità dei mercati finanziari e le bolle speculative endogene ai mercati, sostiene che, nei periodi di espansione economica, quando il flusso di cassa delle imprese supera la quota necessaria per pagare i debiti, si sviluppa un'euforia speculativa.

All'origine delle crisi vi sarebbe quindi una sorta di displacement, cioè uno "spostamento", un evento esterno rispetto al sistema macroeconomico, che spinge i soggetti a credere che vi saranno forti rialzi nel valore delle attività (siano queste reali o finanziarie). Ne consegue un'espansione creditizia, che alimenta ulteriormente l'euforia. Nel momento in cui ci si rende conto che l'espansione dei prezzi è terminata, inizia la corsa alla vendita, che può portare al panico sui mercati, e ad effetti negativi anche sull'economia reale.

Tutto ciò che abbiamo sin qui scritto deve essere collegato alla gravissima crisi ambientale, al complessivo deficit ecologico che attanaglia le popolazioni di tutto il mondo, particolarmente i più poveri e i più indigenti.

E' palesemente evidente che bisogna cambiare rotta prima che sia troppo tardi.

 

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