[16/12/2011] News

2012: fuga dei trader dalle materie prime?

Messa così la notizia potrebbe anche essere positiva: secondo il Sole24Ore di oggi le banche francesi, leader nei finanziamenti al commercio, stanno riducendo il credito alle società di trading. Credit Agricole ha infatti del tutto abbandonato il trading di commodities e sta ridimensionando i prestiti al settore.

Tra i motivi principali, la crisi europea che «non tanto in termini di riduzione della domanda - il peso del Vecchio continente non è più così grande da influenzare significamente gli equilibri globali - quanto perché le difficoltà del nostro sistema bancario potrebbero tradursi in una forte riduzione delle fonti di finanziamento per il commercio di commodities: una situazione che si verificò anche nel 2008-2009, come conseguenza del "credit crunch", e che arrivò a semiparalizzare gli scambi, contribuendo a far crollare le quotazioni di molti prodotti».

Si riduce quindi la trippa per i gatti della speculazione? Difficile dirlo, anche se è un fatto che, stando sempre al Sole, «a rendere meno attraente il business è però anche la prossima introduzione di Basilea 3. Le nuove regole rendono molto più onerosa l'emissione di lettere di credito: se finora le banche erano obbligate a tenere a riserva il 20% del loro valore, la quota dovrà ora passare al 100 per cento. Anche le operazioni sui mercati dei derivati si sono fatte meno attraenti: nel 2008 le quotazioni delle materie prime erano molto più volatili, mentre quest'anno sono state perlopiù stagnanti, riducendo le possibilità di profitto. Inoltre, le banche sono sempre meno disposte ad assumere dei rischi».

Qui però bisogna intendersi: l'economia finanziaria avrebbe la sua ragione di esistere se e nella forma in cui permette a settori chiave come quelli delle materie prime, pensiamo almeno a quelle alimentari, di sopravvivere e poter fare quegli investimenti necessari a far sì che le produzioni siano - è il nostro punto di vista - ambientalmente e socialmente sostenibili. Quindi non depauperino le risorse; creino lavoro di qualità; forniscano prodotti salutari e a prezzi equi anche qui socialmente e ambientalmente. Perché non è affatto detto che il migliore dei prezzi possibili di una derrata di grano sia il più basso. Sono i criteri che contano. Non quelli della speculazione che può far soldi scommettendo sulla siccità o sulle catastrofi.

Purtroppo però è quest'ultima l'unica faccia che si vede dell'economia finanziaria, mentre l'altra appare ormai oscurata da tempo. Così un brusco "credit crunch" non si sa neppure se rischia persino di peggiorare le condizioni di chi coltivano le "commodities" vive. Le decisioni che prende il mercato, fossero anche positive come vogliamo forzatamente e un po' provocatoriamente vederle noi, restano comunque non governate dai governi e quindi senza "rete".

Il mercato fa da sé, con i sui tempi e quello finanziario questi tempi li ha pure accelerati. La speculazione sulle materie prime (tutte) dentro un contesto di finanziarizzazione eccessiva a di poco dell'economia reale più di ogni altra cosa fa saltare quella ratio di gestione delle risorse scarse che è alla base dell'economia stessa.

Con ripercussioni, specialmente quando si parla di petrolio e derivati, che da quella vorticoso roteare di numeri che si vedono sui monitor dei trader arrivano a vanificare oppure a dare ali a settori quali ad esempio il riciclo dei rifiuti. Settori troppo importanti per la sostenibilità ambientale da poter essere in balia dei rumors, ma di questo nessuno pare interessarsi.

 

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