[12/12/2011] News

Accordo di Durban: gli ambientalisti tra delusione e speranza

L'accordo trovato in extremis alla Conferenza delle parti dell'United Nations framework convention on climate change (Unfccc), non soddisfa Samantha Smith, del  Wwf  International perché «Lascia scappatoie enormi per i Paesi per evitare di bloccare le loro emissioni con  vincoli legali. Non c'è alcuna menzione di sanzioni. Non hanno raggiunto un vero accordo. Hanno aggiustato le cose in modo che tutti potessero salire a bordo. Purtroppo, i governi qui hanno passato gli ultimi due cruciali giorni finali dei negoziati concentrati solo su una manciata di parole specifiche nei testi negoziali, invece di spendere il loro capitale politico per impegnarsi in un'azione più reale per affrontare il cambiamento climatico. La linea di fondo è che i governi hanno fatto praticamente nulla e questo è inaccettabile».

Jennifer Morgan, direttrice del World resources institute, fa notare che «I Paesi hanno portato avanti l'attuazione degli accordi di Cancun. In particolare, hanno deciso di rendere operativo il Green Climate Fund  e di impostare un piano di lavoro per mobilitare significativi fondi per il clima, sia pubblici che privati. Attualmente, tuttavia, il livello di finanziamento non è sufficiente a far fronte agli impegni».

Per il direttore esecutivo di Greenpeace International, Kumi Naidoo, che venerdì è stato espulso dalla Cop17 per aver partecipato a delle proteste, «In questo momento il regime climatico globale ammonta a niente più che un accordo volontario per un decennio. Questo potrebbe portarci oltre la soglia di 2 gradi in cui si passa al pericolo di una potenziale catastrofe».

Alden Meyer, dell'Union of concerned scientists ha sottolineato: «La buona notizia è che abbiamo evitato un disastro. La cattiva notizia è che qui abbiamo fatto molto poco per influenzare la curva delle emissioni. Sarà molto difficile negoziare per ottenere un trattato entro il 2015. Sarà particolarmente difficile per gli Usa che non stanno facendo la cosa giusta  per i tagli delle emissioni e per incrementare i finanziamenti. I politici su questo non sono molto promettenti, dato che due membri del partito repubblicano sono completamente negazionisti».

Per Jennifer Haverkamp, dell'Environmental defence found, «La sfida è quella di iniziare i colloqui da un minimo comune denominatore delle aspirazioni di ogni parte. Perché  questo sforzo abbia successo, i Paesi devono essere ambiziosi nei loro impegni e  rifiutare di utilizzare questi negoziati come un altro strumento di stallo».

Secondo Legambiente è «Molto debole l'accordo raggiunto sul Green Climate Fund. Si é solo riusciti a definire la struttura e le modalità di gestione del fondo destinato a finanziare le azioni di riduzione delle emissioni e di adattamento ai mutamenti climatici nei paesi poveri. Nessuna certezza invece é stata garantita ai finanziamenti promessi a Copenaghen  e confermati a Cancun attraverso una roadmap che aumenti annualmente i 10 miliardi di dollari già stanziati per il 2012 sino a garantire i 100 miliardi di dollari promessi per il 2020. Purtroppo nel pacchetto di decisioni adottate a Durban i governi non sono stati in grado di raggiungere anche un accordo su come colmare il cosiddetto "gigatonne gap" ossia il divario, stimato dall'Unep tra 6 e 11 gigatonne di CO2, tra gli attuali impegni di riduzione delle emissioni e quelli necessari per contenere il surriscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi centigradi». 

Ma il presidente del Cigno Verde, Vittorio Cogliati Dezza, sottolinea che «L'Europa da subito si deve fare promotrice, con il sostegno dell'Italia, di un piano per colmare questo gap e aggiornare al 30% il proprio impegno di riduzione delle emissioni di gas-serra al 2020. Per l'Europa si tratta di un impegno che non richiede grandi sforzi aggiuntivi e in linea con le politiche climatiche ed energetiche adottate a livello comunitario. L'Unione europea, infatti, è già a un passo dal raggiungimento dell'obiettivo del 20% al 2020 visto che nel 2010 le emissioni dei 27 Paesi Ue sono già diminuite del 15,5% rispetto al 1990. Sono quindi sufficienti solo misure aggiuntive per consentire, colmando l'attuale ritardo, il raggiungimento dell'obiettivo del 20% per l'efficienza energetica. Secondo recenti stime della Commissione, in questo modo sarà possibile raggiungere una riduzione interna, ossia senza il ricorso agli strumenti flessibili previsti dalla legislazione comunitaria, del 25% delle emissioni di gas-serra, facilitando così il raggiungimento dell'obiettivo del 30% al 2020».

Mariagrazia Midulla, responsabile Policy Clima ed Energia del Wwf Italia, spiega che «I Governi hanno fatto il minimo indispensabile per portare avanti i negoziati, ma il loro compito è proteggere la loro gente. E in questo, qui a Durban, hanno fallito. La scienza ci dice che dobbiamo agire subito, perché gli eventi meteorologici estremi, la siccità e le ondate di caldo causate dal cambiamento climatico peggioreranno. Ma oggi è chiaro che i mandati di pochi leader politici hanno avuto un peso maggiore delle preoccupazioni di milioni di persone, mettendo a rischio le persone e il mondo naturale da cui le nostre vite dipendono. ‘Catastrofe' è una parola dura, ma non è abbastanza dura per descrivere un futuro con 4 gradi di aumento della temperatura globale. Sfortunatamente i governi a Durban hanno speso le due cruciali giornate finali dei negoziati a discutere su una manciata di parole specifiche nei testi negoziali, invece di impegnare la loro capacità politica per stabilire azioni concrete maggiori per affrontare il cambiamento climatico. Alcuni paesi, come gli Stati Uniti, hanno mostrato di non essere interessati a favorire un ambizioso esito dei negoziati. Gli Usa, preoccupati della politica in patria, si sono battuti su alcune parole, ma hanno del tutto mancato il fine principale: limitare il cambiamento climatico più pericoloso. Complessivamente, la responsabilità di questo fallimento va attribuita a una manciata di governi, come Stati Uniti, Giappone, Russia e Canada, trincerati sulle loro posizioni, che hanno fortemente frenato il livello di ambizione dei negoziati. E questo ci ha portato al punto in cui siamo ora».

Secondo il Wwf «L'unico tassello positivo a Durban è stato l'emergere di un ampio gruppo di Paesi dalle ambizioni alte, guidati dalle nazioni più vulnerabili e dagli Stati delle piccole isole tra cui molti Paesi africani».

Ma la Midulla sottolinea: «Non possiamo continuare su questa strada, o verremo soffocati dal nostro stesso carbonio e termineremo le risorse naturali, e questo significa che non avremo cibo, acqua e energia per tutti.  Il cambiamento climatico è un problema globale e necessita di una risposta globale. I negoziati di Durban non hanno dato una risposta, ma un percorso. Ma la lotta contro i cambiamenti climatici è tutt'altro che finita, sia all'interno del processo negoziale sia al di fuori di esso. Le emissioni di gas serra quest'anno sono arrivate ai livelli massimi. Abbiamo bisogno di una risposta compatta al problema, con un'azione continuativa contro il cambiamento climatico da parte dei governi nazionali, del mondo delle imprese e dalla società civile, che devono rispondere con convinzione a questa chiamata alle armi. Mentre negoziatori e ministri sedevano dietro le loro porte chiuse, non sentivano l'appello delle persone, dei leader religiosi, dei giovani, delle donne, che protestavano e manifestavano per stimolare un'azione urgente. Queste persone, compreso il Wwf, li riterranno responsabili».

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