[01/12/2011] News

Crisi economica ed ambientale: stessa origine ma neppure a Durban sembrano accorgersene

La crisi economico-finanziaria e climatica-ambientale sono collegate e figlie dello stesso modello di sviluppo del quale si continua a dimenticare le criticità. Come scrive Antonello Pasini sulle pagine del Sole24ore «i due ambiti, quello economico e quello ambientale, devono relazionarsi armonicamente e svilupparsi insieme in maniera coordinata» e soprattutto devono convergere in modo simultaneo gli interventi per risolvere le crisi, che devono ovviamente essere improntati all'equità e alla sostenibilità sociale. Purtroppo l'impressione è che si proceda ancora una volta a velocità diverse e i due comparti vengano tenuti volutamente separati.

I governi dei Paese del nord del mondo, Europa in testa, in questo momento sono impegnati a trovare le misure per arginare il disastro finanziario che si è abbattuto sull'occidente (ma non è proprio un fulmine a ciel sereno). Vedremo se i provvedimenti strutturali che dovranno essere adottati riusciranno almeno nel medio periodo a sortire qualche effetto, ma c'è comunque consapevolezza di essere sul ciglio del baratro e per giunta senza paracadute.

Consapevolezza che manca, almeno questa è l'impressione, ai Paesi (molti sono gli stessi) riuniti a Durban, in Sud Africa per l'annuale Conferenza mondiale indetta dall'Onu sul clima, che stanno affrontando (o meglio facendo finta di affrontare) l'altra emergenza, appunto quella climatica. Siamo solo all'inizio, ma il rischio che in Sud Africa si sarebbe discusso pesando le parole e aggiungendo dettagli a documenti privi di impegni cogenti, era nell'aria già alla vigilia e   purtroppo le prime notizie sono a conferma: sostanzialmente si sta già pensando a quali decisioni ed impegni procrastinare ad incontri successivi.

Peraltro i temi portati in discussione sono di assoluto rilievo per il futuro del pianeta: dal nuovo protocollo di Kyoto, all'accordo globale sul clima, al contributo economico al Green climate fund, istituito a Cancun che dovrebbe sostenere i paesi in via di sviluppo nella conversione all'energia rinnovabile e nelle misure di adattamento agli effetti del riscaldamento globale, con l'apporto di 100 miliardi di dollari l'anno. La necessità di decisioni strutturali immediate è stata ribadita da Rajendra Kumar Pachauri (Nella foto) economista e scienziato indiano, dal 2002 presidente del Panel internazionale sul cambiamento climatico (Ipcc). Durante un intervento alla Cop 17 ha avvertito i negoziatori sul clima che il riscaldamento globale sta portando ad un'impennata  dei costi umani e finanziari. Le conseguenze dei cambiamenti climatici anche con i risvolti locali sono sotto gli occhi di tutti e i fenomeni estremi, grandi ondate di calore e precipitazioni straordinarie, si succederanno sempre più frequentemente. Le zone costiere e le isole sono a rischio di inondazione a causa del riscaldamento globale, ha dichiarato il premio nobel- e nel giro di un decennio, fino a 250 milioni di persone si troveranno ad affrontare lo stress idrico. Inoltre le catastrofi climatiche hanno imposto pesanti oneri finanziari, insostenibili per alcuni paesi poveri. Ma per lo scienziato indiano la situazione non è irreversibile:  molti degli  impatti possono essere evitati, ridotti o ritardati a condizione che si intervenga subito riducendo le emissioni. Per stabilizzare le concentrazioni di carbonio nell'atmosfera- ha concluso Pachauri- sarebbe necessario rallentare la crescita economica dello 0,12 per cento l'anno, ma tali costi sarebbero compensati da un miglioramento della salute, da una maggiore sicurezza energetica e dei prodotti alimentari. Dalle notizie che arrivano da Durban, questo nuovo appello (tra l'altro su argomenti rafforzati dalle evidenze), pare cadere nel vuoto almeno per i Paesi occidentali. Addirittura pare che il Canada si voglia ritirare anticipatamente dal Protocollo di Kyoto, e la notizia a fatto andare su tutte le furie i paesi africani.

La lunga partita a scacchi è comunque iniziata, ma purtroppo è difficile che un Paese con un grande peso specifico come gli Stati Uniti (sulla Cina vedi quanto riportato ieri su greenreport, link in fondo) vicino alla scadenza elettorale, voglia dare il buon esempio e fare mosse indispensabili per il futuro del pianeta con risultati però riscontrabili nel lungo periodo, a fronte di "sacrifici" da mettere in moto subito.

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