[18/11/2011] News

Anche la Merkel spinge per un’Europa davvero unita. All’insegna di una vera equità?

«L'unità europea e l'unità tedesca sono due facce della stessa medaglia». Il cancelliere tedesco Angela Merkel (Nella foto con Sarkozy) prosegue sulla scia europeista lasciata durante il recente congresso Cdu a Lipsia, dove la citazione del suo celebre predecessore Helmut Kohl ha lasciato il segno. Durante il cancellariato di Kohl la Germania divisa riconquistò la propria unità col crollo del Muro, ponendo sopra le sue macerie mattoni indispensabili per costruire il sogno di un'unione europea, e non solo teutonica.

Adesso è la Merkel a spingere sull'acceleratore per provare a terminare quel processo di unificazione che ha trovato il suo punto più alto nell'istituzione di una moneta unica, a coronamento di un mercato altrettanto unico, interno ad un'Unione che continua a mantenere più vivi i propri segni di unità monetaria, a scapito di una vera, legittima e democratica unità economica e politica.

Le idilliache previsioni di chi riponeva la propria fiducia per una buona riuscita del progetto di unificazione unicamente in automatismi quasi taumaturgici dell'euro sono ormai definitivamente naufragate tra i flutti della crisi, che ha almeno avuto l'amaro merito di mostrare come i pilastri dell'Unione, come sono adesso, non sono ancora così solidi come invece apparivano in momenti di serenità economica, e scricchiolano troppo facilmente di fronte alle difficoltà.

Ieri la Merkel ha di nuovo spinto per una revisione dei trattati che legano tra loro gli Stati membri dell'Unione europea, affermando di essere disponibile a cedere un'ulteriore quota della sovranità nazionale di tali Stati (compreso il proprio, dunque) in cambio di un'Europa più solida, con la tranquillità - portata a compensazione - di un controllo accentrato dei diversi conti pubblici, cercando così di rassicurare il proprio elettorato, sempre timoroso di pagare di tasca propria le inadempienze dei paesi periferici.  «Questo prevede un cambiamento limitato dei trattati, di cui naturalmente discuteremo al Consiglio europeo del nove dicembre», ha precisato Frau Merkel.

Di un vero e proprio parlamento e governo - soprattutto politico, ancor prima che economico - e di istituzioni in grado di servirne adeguatamente le esigenze, l'Europa unita ha bisogno come il pane. Perché è solo da qui che si possono apportare quelle modifiche necessarie, o almeno tentare, al modello di sviluppo facendolo riorientare alla sostenibilità sociale e ambientale.  I singoli stati nazionali rappresentano ormai barche troppo piccole per veleggiare nei mari della globalizzazione, e solo la loro Unione restituisce loro il peso che gli spetta di diritto in ambito internazionale. Una volta di più, la crisi che non accenna a lasciare l'Europa mette implicitamente l'accento sulla necessità di una forza politica solida ed autorevole che riesca a mettere un freno agli psicotici mercati non solo liberi, ma lasciati irresponsabilmente a briglia sciolta proprio dalla politica. In questo contesto, e corredata dall'accessorio tutt'altro che superfluo di operare in tal senso, un'Europa democratica si spera rappresenterebbe un faro di speranza. Il tempo, però, è tiranno.

L'arrivo del governo Monti riesce al momento a frenare l'ascesa dello spread italiano, sceso del 10,1% rispetto al picco dei 575 punti raggiunto dal differenziale il 9 novembre; come evidenzia oggi il Sole 24 Ore, questo risultato assume connotati ancor più positivi se confrontato con le performance di Austria, Francia e Spagna (i cui bonos decennali hanno infranto del rendimento-soglia del 7%) che vedono ora volare in alto il loro, di spread.

Però, indipendentemente dall'effetto calmante più o meno duraturo che riuscirà a garantire all'Italia la sola presenza della Monti-camomilla, i nervosi e soprattutto bulimici mercati sembrano dunque sondare il terreno con sempre maggiore insistenza per preparare un nuovo assalto a Paesi europei diversi da Italia e Grecia, affondando le lame della speculazione per estrarre succo dove ancora ne rimane.

Volgere il pensiero e le intenzioni ad una riforma dei trattati europei, per dar forza all'Europa, è perciò soltanto un bene. Ma la spinosa e fondamentale domanda che resta verte sul "come" riformare questi trattati. Sperando sia vero quanto confidato da Monti, ossia che «Francia e Germania non vedono l'ora di non essere più in due a guidare l'Europa», la riforma in gioco dovrebbe ovviamente essere una mossa condivisa, e non pianificata in solitaria dall'asse franco-tedesco - ma neanche all'interno di un manage a trois con l'Italia a completare il triangolo: per rilanciare e confermare una volta di più l'anima europea che ha distinto il Vecchio continente nel mondo a partire dal secondo dopoguerra, "democrazia" e "welfare" devono mantenersi le direttive comuni, necessariamente condivise.

Lo slancio europeista che arriva da Berlino, nella persona di Angela Merkel, è dunque encomiabile. Ma prima di avanzare probabili richieste affatto eque, ai tedeschi sarebbe bene ricordare come se la loro locomotiva economica traina l'Europa - portandoli al banco dei primi della classe per Pil - una buona parte del merito va proprio alla moneta unica così com'è disegnata, da loro voluta e difesa con teutonica tenacia. È ancora il Sole 24 Ore che, oggi, sottolinea come «l'80% del surplus commerciale tedesco è nei confronti degli altri Paesi europei. Molte imprese hanno indirizzato i propri sforzi sulle vendite nell'area della moneta unica».

Questo euro forte, simil marco, è dunque per la Germania - un'economia in gran parte basata sull'export - un piede di porco eccezionale per aprirsi una via nel mercato unico europeo e non soffrire la libertà dei Paesi periferici di operare svalutazioni competitive e erodere la competitività tedesca. Tenendo bene a mente questo punto, tra gli altri, è possibile allora partire per una riforma dei trattati europei, si, urgente, ma equilibrata: non un regalo dei tedeschi ai discoli fratelli minori dell'Europa, ma un patto condiviso tra pari, all'insegna di una cooperazione per lo sviluppo comune, finalmente fuori da interessi particolari dei singoli Stati.

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