[10/11/2011] News toscana

Dopo le alluvioni...

Noti i fatti, non serve rinnovare le polemiche. La ricerca di responsabilità, salvo casi eccezionali, confermerà che si è costruito secondo piani regolatori e norme vigenti al momento; forse troppo, ma seguendo le regole, ovviamente al netto dei nefasti esiti dei condoni. La polemica di bandiera non serve.

Non c'è altro da fare che ripensare ad un modo d'uso del territorio che abbiamo avvallato negli ultimi 50 anni; stringe il cuore pensare che era più avanti Fiorentino Sullo nel 1962 (il ministro democristiano che propose la riforma urbanistica , uno dei motivi del tintinnare di spade del generale De Lorenzo) rispetto agli ambientalisti del fare di oggi. Serve cambiare approccio, cambiare obiettivi.

E' necessario cominciare a stabilire punti fissi di un diverso modello che si deve affermare. Innanzitutto dobbiamo essere consapevoli che i modi d'uso del territorio  sono soltanto specchio fedele, e purtroppo negativo, di una cultura economica e sociale, quella dell'accumulazione e della prevalenza assoluta del "dio denaro", della finanzia estrema, del beneficio del singolo, che mostra i suoi limiti ovunque lascia macerie ovunque. Impoverisce i molti, anzi tutti.

Non può e non deve sussistere l'idea che possedendo un terreno su questo posso e debbo edificare, il diritto di proprietà può e deve essere radicalmente scisso dal diritto di edificare che è un bene comune che può essere concesso per una utilità comune.

Sviluppo non è sinonimo di crescita immobiliare, di nuove costruzioni. L'agricoltura, anche e soprattutto in forme medie e piccole va sostenuta perché sono essenziale per la manutenzione del territorio, per la sua conservazione attiva. Il territorio agricolo dunque deve essere una invariante per legge e per legge deve essere tutelato: Non in termini paesaggistici, ma in termini funzionali: è agricolo e basta.

Non può darsi una nuova urbanizzazione se non esclusivamente per investimenti produttivi cioè rivolti alla produzione di beni e servizi che creano valore, innanzitutto occupazione, di medio lungo termine.

Ci devono essere norme, procedure, incentivi, per riqualificare, o rigenerare che dir si voglia, le vaste periferie, per ridurne la dimensione, incrementare la funzionalità delle urbanizzazione la permeabilità dei suoli. E non devono essere norme straordinarie o a tempo, ma priorità.

Urbanistica del miglioramento, perimetri rigidi  e ristretti dell'urbanizzato - urbanizzabile, cessione obbligatoria a prezzo "politico" al patrimonio pubblico delle aree pertinenziali dei corsi d'acqua per preservarne la naturalità. Reintroduzione dell'Ici in funzione del valore di mercato invece del semplice valore catastale perché soprattutto in aree extraurbane o periferiche ville con giardini e pertinenze non possono essere assimilate da un appartamento in condominio, destinando obbligatoriamente una parte del gettito alla riqualificazione urbanistica ed ambientale.

Quindi, si deve ripartire dalle piccole cose, dalle buone pratiche quotidiane: riduzione della impermeabilizzazione dei suoli, costruzione di cisterne e piccoli invasi per impedire che le acque precipitino nelle reti scolanti in tempo reale e in dimensioni incredibili; tenere puliti i piccoli corsi d'acqua, libere le foci.

Ovviamente tutto questo può anche non essere sufficiente rispetto al clima impazzito, a manifestazioni monsoniche o di turbolenza finora sconosciuta nel mediterraneo, ma probabilmente può ridurre il rischio riqualificando il territorio, creando innumerevoli quantità di opportunità di lavoro qualificato e quindi di ricchezza. E nella crisi attuale forse non è poco.

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