[21/10/2011] News toscana

Il gip di Livorno sul sequestro del Limoncino: una discarica lì non ci può stare

Le classificazioni di pericolosità geomorfologica elevata dell'area della discarica di Limoncino, a Livorno, ''di per se stesse sono sufficienti ad escludere che in un sito come quello della ex cava Monte La Poggia possa collocarsi una discarica di qualunque genere''. Lo scrive il gip di Livorno Beatrice Dani nel provvedimento con il quale ha disposto il sequestro, eseguito ieri dai carabinieri, della discarica per rifiuti speciali, da oltre un anno al centro di un vibrante dibattito politico e tra istituzioni e residenti.

Limoncino, scrive il giudice, è inserita in una classe elevata di pericolosità geomorfologica ed è sottoposta a vincolo idrogeologico.
Circostanza, aggiunge il magistrato, ben nota a pubblici amministratori e responsabili tecnici dell'iter. Così, prosegue il gip, la violazione è stata doppia: da una parte si è autorizzato la discarica in zona interdetta, dall'altra, ''ove si fosse deciso di adottare la decisione in deroga, la competenza sarebbe stata della Regione''. Nella decisione del giudice Dani ha pesato anche la perizia della Procura, eseguita da due esperti del Cnr di Pisa.

Per questo, conclude il giudice, «deve ritenersi concreto e altamente probabile il rischio che la prosecuzione dei lavori di realizzazione della discarica possa determinare nell'immediatezza un consistente aggravio per la stabilità geologica del sito, con rischio di ulteriori crolli e frane». Il sequestro ha ragione d'essere, insomma, «al fine di evitare il protrarsi del dissesto ambientale e cioè l'effetto» del presunto reato «con verosimile e concreto danno per molti (la collettività e l'ambiente in generale), ma ingente profitto per pochi».

Il giudice nel decreto sottolinea come siano caduti nel vuoto i ripetuti inviti dei tecnici di Arpat che partecipavano all'iter per le valutazioni di impatto ambientale a eseguire accertamenti e rilievi sul campo con carotaggi ed altre analisi. «L'area - si legge nel decreto - è stata per anni interessata da movimenti franosi, almeno a far data dal 21 luglio 1989, eventi segnalati e ben noti al Comune e alla Provincia». Ciononostante sia nella fase della Via che dell'Aia (l'autorizzazione integrata ambientale) «non è stato ritenuto necessario procedere con indagini geognostiche di tipo diretto, come suggerito espressamente dai tecnici Arpat, limitandosi a raccogliere dati bibliografici o indiretti. Si riteneva - spiega il gip - di recepire pedissequamente la riqualificazione della pericolosità dell'area da alta a medio-bassa sulla base non di prove tecniche dirette e neppure sulla base di un parere proveniente da esperti terzi rispetto alla società proponente, ma sulla base della mera valutazione proveniente dal progettista».

Oltre a questo il giudice richiama «chiari indizi di sussistenza dei reati di abuso di ufficio» in relazione ad altri due capi di imputazione: uno riguarda quello che viene definito «l'aspetto macroscopicamente illegittimo» della mancata astensione di un dirigente della Provincia dalla valutazione del progetto di realizzazione della discarica presentato da un suo parente.
L'altro, invece, parla della presunta violazione del regolamento urbanistico del Comune, in particolare dell'articolo 34 che regola la conversione delle cave in discariche attraverso il processo di "rinaturalizzazione".

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