[20/10/2011] News

Un futuro sostenibile non può prescindere da un’equità ed un riequilibrio della pressione fiscale

Robert Engelman, direttore esecutivo del Worldwatch Institute, al Forum internazionale di Greenaccord

dal nostro inviato

CUNEO. «È difficile immaginare un mondo sostenibile, quando il pianeta è abitato da ben 7 miliardi di persone, che a loro volta in maggioranza poggiano su una base né egualitaria né tantomeno democratica. Considerando questo difficile quadro di partenza, come può essere governata una società giusta, ed in armonia con la natura?».

Così Robert Engelman (Nella foto), direttore esecutivo del Worldwatch Institute, ha scandito l'inizio del suo intervento all'interno del "Forum internazionale dell'informazione per la salvaguardia della natura" promosso da Greenaccord.

«La popolazione umana è in costante crescita demografica, con la relativa ed accresciuta pressione sulle risorse disponibili,  e le inerenti problematiche di redistribuzione - ha continuato Engelman. - Tale accentuata scarsità rappresenta un vincolo alla crescita economica ed al capitalismo stesso, finendo per creare problemi alla governance in generale, che non è più in grado di mantenere stabilità economica o sociale, portando a proteste come quelle di sabato scorso. La mia impressione è che quel che sta avvenendo oggi vada molto oltre l'avidità o la collusione della politica coi potentati finanziari ed economici che la condizionano.

Siamo davanti al tramonto di un'era di eccezionale abbondanza - in particolare in campo energetico, con l'esaurimento dei combustibili fossili. La nostra storia presenta una lunga lista di collassi delle diverse civiltà che si sono susseguite nel corso del tempo e invariabilmente, con l'avvicinarsi della possibilità del tracollo, le elite del tempo tendono per loro natura a cercare di tenere sotto il proprio stretto controllo l'insieme delle risorse, distraendo le masse popolari con metodi variabili: costruendo grandi monumenti (ad esempio, nell'antico Egitto), oppure partendo per guerre o avventure coloniali.  Nel mondo di oggi abbiamo invece i giocattoli ad alta tecnologia o la pubblicità, come esempi di distrazioni. Ma i pericoli che abbiamo di fronte sono molto grandi, ed il tracollo di una civiltà globale di  7 miliardi di persone è una prospettiva agghiacciante».

Finita l'era dell'abbondanza - o meglio, dell'eccesso e dello spreco narcisista - ecco che il ruolo della governance locale ed internazionale si trova davanti alla necessità di rinnovarsi, con una modernizzazione che non può prescindere da un maggiore coinvolgimento delle donne, che ricoprono un ruolo ovviamente determinante nelle problematiche demografiche, e storicamente hanno dimostrato una particolare abilità nel guidare la mediazione dei conflitti, nonostante l'ascendenza del potere maschile abbia finito per strutturare una società occidentale prettamente patriarcale. Al proposito, anche Engelman non ha mancato di sottolineare come «l'Italia stia soffrendo per l'immagine offerta nel contesto internazionale a causa problemi della propria leadership, in particolare inerenti al modo di come sembra che i governanti italiani considerino la figura femminile».

Anche se forse sarebbe più semplice, è necessario evitare di precipitare in una spirale depressiva di fronte alle difficoltà che ci aspettano, fiduciosi nelle nostre potenzialità e nei cambiamenti positivi che comunque stanno avvenendo, e sono avvenuti in passato. Gli stati di diritto hanno il dovere di difendere i diritti umani del loro popolo e, nonostante la maggioranza dei governi abbia spesso disatteso tale impegno «siamo riusciti ad allontanare l'ombra di un nuova guerra mondiale per 66 anni - ricorda Engelman - allacciando rapporti di collaborazione internazionale sempre più stretti, ed accrescendo l'attenzione verso quei diritti sopracitati, ed anche l'attenzione verso l'ambiente è aumentata esponenzialmente.

Dobbiamo aver fiducia nelle capacità evolutive che le democrazie hanno mostrato nel corso della loro storia, e se ci domandiamo perché i politici di tutto il mondo non hanno ancora preso risoluzioni definitive al riguardo dei cambiamenti climatici e delle problematiche ecologiche, è perché tali politici generalmente neanche conoscono né approfondiscono tali tematiche. Eppure, le decisioni devono essere prese, adesso. Siamo di fronte ad un bivio, continuare ad aspettarci poca azione da parte dei governi, ed aumentare di conseguenza l'intervento diretto dei cittadini, oppure aumentare la pressione sui governi perché operino in fretta cambiamenti radicali. Penso che entrambe le strade debbano essere incoraggiate, e le proteste contro il malgoverno che stanno avanzando in tutto il mondo sono un passo avanti, benché rappresentino solo l'inizio di un percorso più profondo».

I modelli nazionali che sembrano aver trovato una propria e funzionante via sono pochi, attualmente, con l'eccezione più evidente rappresentata forse dagli stati scandinavi. Eppure, sebbene ancora non sia il momento per un governo mondiale, è necessaria «una governance ed un'armonia globale per operare il cambiamento necessario - chiosa Engelman. Singoli individui e nazioni devono accettare la necessità di dover sopportare un giusto ed equo costo per affrontare il cambiamento: è necessario un riequilibrio nella distribuzione del carico fiscale, ed una riallocazione del gettito relativo per favorire una ripresa dell'occupazione, incentivando posti di lavoro dignitosi per tutelare e ripulire il mondo. I destini di tutti sono indissolubilmente legati: o sopravviviamo insieme o moriamo insieme. Dobbiamo sostenerci l'un l'altro».

Torna all'archivio