[17/10/2011] News

EcosistemaUrbano 2011: situazione di stallo... nonostante la crisi

Al di là dei numeri, che purtroppo in assenza di standard unici e pur con tutti gli aggiustamenti non danno a parer nostro una vera fotografia dello stato dell'ambiente italiano, quello che conta sono i trend. Per questo è molto interessante, più della classifica sic et simpliciter, quanto si sostiene a commento di EcosistemaUrbano 2001, il dossier di Legambiente.

«Al di là della posizione in classifica - ha dichiarato il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza - se si va a guardare il punteggio di ogni città, salta agli occhi che non ci sono sostanziali variazioni rispetto al 2009, e se ci sono, nella maggioranza dei casi, sono in negativo. E questo vale per Varese come per Reggio Calabria. Le città sono praticamente ferme e questo perché le amministrazioni locali hanno paura di cambiare passo e di imboccare con determinazione la strada del cambiamento ma soprattutto perché manca la politica, a livello nazionale. Visto poi che questo rapporto - ha aggiunto il presidente di Legambiente -è un termometro della qualità delle nostre città non possiamo rimanere in silenzio davanti al degrado di quanto successo nel Comune di Parma. La tempesta giudiziaria che ha investito la giunta comunale - ha concluso Cogliati Dezza - ci obbliga e collocare Parma fuori classifica e anche se i dati ambientali continuano a rimanere buoni rispetto al resto d'Italia, pensiamo che l'etica pubblica sia un valore sovraordinato a cui non possiamo rinunciare».

Come avevamo purtroppo previsto, almeno in Italia la crisi non ha portato con sé alcun giovamento per la nostra qualità della dell'ambiente e quindi della vita neppure sul piano ambientale. La chiusura di tante aziende; la drastica vendita di auto; i consumi in rapida riduzione, al massimo non hanno peggiorato situazioni già molto o poco compromesse. E questo è un dato sul qualche varrebbe davvero la pena riflettere, piuttosto che vedere se si è fatto un punto o mezzo punto in più o in meno nella raccolta differenziata.

La sostanza, quindi, come evidenzia il rapporto è che le città italiane sono "in stallo per la qualità ambientale". E anche poco sicure, - dice il rapporto - «ma per i rischi legati alla cattiva qualità dell'aria, che solo nei grandi centri causa 8.500 morti l'anno, per la congestione da traffico, che vede le città in testa per numero d'incidenti (76%) e feriti (72,6%), per le abitazioni costruite male o nel posto sbagliato, per le fabbriche a rischio d'incidente rilevante, presenti in ben 48 capoluoghi italiani.

E', ad esempio, ancora allarme smog in più della metà dei centri urbani, dove i mezzi privati la fanno da padrone mentre il trasporto pubblico perde passeggeri (a Bari, Catania e Palermo, gli abitanti salgono in media sui bus meno di 100 volte l'anno). Temi questi di cui si parla poco o non si parla affatto visto che quasi sempre la sicurezza viene declinata come paura della microcriminalità».

Proprio l'insicurezza urbana è la grande novità del rapporto Ecosistema Urbano, con il quale Legambiente ha voluto accendere i riflettori sulle tante insicurezze cui si parla sempre troppo poco. Rischi legati al traffico automobilistico, allo smog, alla siccità e la saltuarietà dell'approvvigionamento idrico, alle costruzioni prive di standard antisismici, alla presenza di grandi impianti industriali, alla produzione e smaltimento dei rifiuti.

Venendo ai dati specifici di Ecosistema Urbano, i nuovi numeri dei principali comuni capoluogo di provincia d'Italia ci dicono che una delle prime emergenze ambientali da affrontare è quella dello smog. In una cinquantina di città si rileva la presenza di aree critiche per le concentrazioni da biossido di azoto mentre per le polveri sottili sono 6 le città (Siracusa, Frosinone, Caserta, Torino, Pavia e Napoli) dove il valore medio annuo è superiore al valore limite per la protezione della salute umana (40 microgrammi/mc).

Altre 6 città (Asti, Cagliari, Lucca, Milano, Venezia e Palermo) presentano un valore superiore ai 40 microgrammi/mc in almeno una centralina. Sono invece ben 47 i centri nei quali una centralina ha rilevato un numero di giorni di superamento della concentrazione media oraria (50 microgrammi/mc) superiore a quanto previsto per legge (35 giorni).

Nessun miglioramento anche per la dispersione idrica. Dodici comuni continuano ad avere perdite idriche superiori al 50% (Siracusa, L'Aquila, Potenza, Catania, Grosseto, Avellino, Pescara, Trieste, Latina, Campobasso, Gorizia e Cosenza) mentre negli altri capoluoghi le percentuali variano: si passa dall'11% di Milano al 73% di Cosenza. In generale in 50 città più del 30% dell'acqua immessa nella rete viene perduta.

Per quanto riguarda la depurazione, in 6 comuni, la metà o meno della popolazione è servita dal depuratore; la situazione più critica rimane quella di Imperia, tuttora sprovvista di impianto, seguita da Benevento e Catania (entrambe si attestano sul 20% di abitanti serviti), Treviso, Palermo (rispettivamente al 28 e 32%) e Nuoro (40%).

Chiudiamo con un'altra piccola riflessione: se uno dei problemi è quello dei rifiuti, prima o poi bisognerà che lo si affronti con un po' più di attenzione alla sua complessità. Ovvero tenendo conto l'intero ciclo integrato. E magari - quando saremo in grado di farlo - non solo di vedere quanti rifiuti si producono davvero, aggiungendo quindi anche quelli speciali, ma affiancandovi poi le statistiche su quanta materia si ricicla davvero e che fine fa: non è possibile considerare solo la loro raccolta, ancorché differenziata, perché fra questa e il riciclo effettivo c'è un intero processo industriale. Senza contare, e la cosa è enorme quanto ignorata anche essa, che non esistono indicatori standard con cui si misurano le raccolte differenziate.

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