[28/09/2011] News

Iran: nostre navi da guerra davanti alle coste Usa. Intanto riscoppia la protesta in Bahrein

«La marina militare iraniana potrebbe inviare unità da guerra nell'Oceano Atlantico, in prossimità delle acque territoriali degli Stati Uniti» lo ha annunciato oggi il comandante in capo della marina, l'ammiraglio Habibollah Sayyari secondo l'agenzia ufficiale iraniana Irib.

Sayyari, riferendosi alla con riferimento alla presenza della marina militare Usa nel Golfo Persico, ha spiegati che «così come il potere egemonico è presente vicino, non lontano dalle nostre frontiere marittime, noi stiamo programmando di stabilire una forte presenza vicino dalle acque territoriali statunitensi».

Come e quando questo avverrà Sayyari non l'ha detto, ma sembra un'altra mossa irridente del regime iraniano verso il boicottaggio colabrodo dell'Iran voluto dagli Usa.

Sayari ha aggiunto che «i soldati fedeli della marina iraniana garantiranno la nostra presenza potente non lontano dalle frontiere marittime degli Stati Uniti».

La scorsa settimana il comandante della Marina iraniana aveva detto che la presenza delle forze armate Usa nel Golfo Persico «Non fa che destabilizzare la situazione nella regione, i Paesi della regione devono garantire essi stessi la sicurezza del Golfo. La presenza della Marina iraniana nel Golfo di Aden e nel Mar Roisso è una fonte di orgoglio per il popolo iraniano e gli altro Paesi musulmani. La nostra presenza non si limiterà a questi settori, dobbiamo rafforzare la nostra presenza in tutte le acque libere». Gli Usa nel Golfo Persico, (o arabo per l'altra sponda) hanno diverse navi militari e basi aeree nei Paesi del Golfo. Nel Bahrein scitta in rivolta gli americani hanno la base della Quinta flotta che pattuglia l'Oceano indiano e protegge i traffici petroliferi nello stretto di Ormuz che collega il Golfo al Mare dell'Oman, dividendo l'Iran dalle monarchie assolute del Golfo amiche degli americani.

Proprio oggi i media iraniani hanno annunciato che «la riabilitazione di alcuni ufficiali di polizia, sospesi in passato per aver torturato dei detenuti, è il chiaro segnale delle profonde divisioni interne alla famiglia reale del Bahrein, gli al-Khalifa. I regnanti sarebbero infatti in disaccordo ,circa l'estensione delle forme di repressione finora adottate nei confronti dei manifestanti filo-democratici. Rientra nella disputa familiare, anche il caso di novanta ufficiali giordani, tuttora in servizio nelle Forze di Polizia dello Stato del Bahrein, che accusati di maltrattamenti contro i prigionieri, saranno presto allontanati e costretti a tornare in Giordania».

Fonti dell'opposizione sciita filo iraniana hanno riferito all'Indipendent, che «sarebbe difficile individuare l'obbiettivo di queste decisioni: effettuare una reale "purificazione" delle forze armate, eliminando gli elementi peggiori, o sbarazzarsi finalmente dei testimoni di un uso della tortura indiscriminato, avvenuto sin dall'inizio per placare le rivolte. Le divisioni all'interno della casa regnante, sono divenute più evidenti nel momento in cui alla tentata riconciliazione del sovrano Hamad bin Isa al-Khalifa con gli oppositori non è seguita alcuna azione concreta. Sebbene Re Hamad abbia rivolto infatti, un chiaro appello alle compagnie private del Bahrein, chiedendo di riassumere circa 2,500 impiegati, licenziati per aver preso parte alle proteste, la maggior parte non è riuscita ad ottenere il vecchio lavoro. Le azioni del governo sono contraddittorie. All'inizio di settembre sono stati sospesi per tortura diversi ufficiali di polizia, alcuni appartenenti alla famiglia governante».

La radio ufficiale iraniana Irib scrive che «mentre nel Bahrain dilagano le proteste contro la casa regnante alleata degli Stati Uniti, il ministro degli Esteri del paese arabo, Sheikh Khalid ibn Ahmad Al Khalifah ha chiesto all'Iran di aiutare Manama a risolvere la crisi». Lo avrebbe fatto il 26 settembre  durante un incontro con il suo omologo iraniano, Ali Akbar Salehi, a margine della 66a sessione annuale dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York.

«La rivolta popolare nel Bahrein - spiega Irib - è  cominciata lo scorso febbraio scorso quando centinaia di migliaia di persone - in un paese che conta 1,2 milioni di abitanti - avevano invaso le strade della capitale, Manama, e degli altri principali centri urbani. Nonostante le proteste fossero scaturite dal malcontento della maggioranza della popolazione sciita (70%o), discriminata dalla casa regnante sunnita, le manifestazioni non hanno mai assunto un carattere settario. La propaganda del regime ha cercato prima dipingere il movimento come un presunto complotto ordito dalla Repubblica islamica, un'accusa respinta categoricamente dall'Iran che ha sempre chiesto a Manama di ascoltare le richieste dell'opposizione.  Ora dopo aver visto fallire il suo piano di attribuire la crisi ad altri paesi, Manama sembra che vuole ragionare accettando le realtà esistenti nel Paese. E forse per questo che ha teso la mano a Teheran per chiedere aiuto».

Salehi ha espresso serie preoccupazioni per i recenti sviluppi in Bahrein, riferendosi direttamente alla repressione dei dimostranti, e dicendo che il governo del Bahrein ha un'unica via per uscire dal vicolo cieco: «Il dialogo tra le autorità e il popolo». Sheikh Khalid ha annunciato la formazione di un comitato d'inchiesta, guidato dal noto esperto per i diritti umani Mahmoud Cherif Bassiouni, per indagare sui fatti accaduti durante gli scontri di piazza nel piccolo regno ed ha assicurato che «l'esito delle indagini verrà pubblicato entro la fine di ottobre»

Secondo gli iraniani «Dall'inizio della rivolta contro la dinastia Al Khalifa, da 40 anni al potere, hanno perso la vita decine di manifestanti mentre centinaia erano gli arresti e i successivi casi di percosse e torture da parte delle forze di sicurezza del regime. La repressione in Bahrein ha provocato solo isolate dichiarazioni di circostanza da parte dell'Occidente».

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