[22/09/2011] News

Gli Usa ai Paesi in via di sviluppo: «Nessuna via di fuga per la riduzione delle emissioni»

Norvegia e Australia: «A Durban prendiamoci altri 4 anni di tempo»

Brutte notizie a poco più di due mesi dall'avvio della Cop 17 dell' United Nations framework convention on climate change (Unfccc) di Durban: il capo negoziatore del cambiamento climatico  degli Stati Uniti, Todd Stern (nella foto), ha lanciato un forte avvertimento ai Paesi in via di sviluppo: la continuazione del Protocollo di Kyoto non ci sarà se escluderà le grandi economie emergenti (Cina, India, Brasile, Sudafrica) dagli impegni obbligatori o se gli impegni dei Paesi «E' subordinato al sostegno finanziario da parte delle nazioni sviluppate». Secondo Stern, i Paesi in via di sviluppo  «Sono alla ricerca di ""escape hatches" per non assumersi obiettivi di riduzione delle emissioni se i paesi industrializzati non riescono a fornire sostegno finanziario».

Che l'ultimatum sul Protocollo di Kyoto venga da un Paese, il più grande, sviluppato  e potente del mondo, che quel protocollo si è sempre rifiutato di firmarlo sembra una stranezza che non sfiora la mente di Stern e di chi lo ha nominato: il presidente Usa Barack Obama. La "via di fuga" negata ai Paesi in via di sviluppo è lo stesso tunnel che gli Usa hanno testardamente scavato per anni sotto il recinto del Protocollo di Kyoto, minandone le fondamenta e il reale successo.

L'intervento degli americani sembra una pietra tombale preventiva sulla Cop 17 di Durban che inizierà a fine novembre in Sudafrica e Stern queste cose non le ha dette in una riunione privata ma al Major Economies Forum  a New York, che riunisce i 17 Paesi responsabili della strarande maggioranza di emissioni di gas serra del Mondo, Cina, India, Brasile e Sudafrica compresi.

Stern ha detto che gli Usa non approveranno un nuovo un accordo che non si applichi «Uguale valore giuridico ai principali paesi emergenti. Non si può andare avanti solo con un nuovo accordo legale che si basa sulla stessa esatta struttura. Tra i principali protagonisti  del protocollo di Kyoto, la mia sensazione è che l'Ue sia l'unica che stia ancora valutando l'iscrizione, in qualche modo, ad un secondo periodo d'impegno. Il Giappone dice chiaramente no, Russia no, il Canada no e per l'Australia è improbabile».

La segretaria esecutiva dell'Unfccc , Christiana Figueres,  ha avvertito tutti che «AI prossimi climate talks non si può evitare una decisione sul futuro del protocollo». Lo stallo politico sul futuro di Kyoto rischia di erodere le stesse basi della Cop 17 di Durban, eppure sia Stern e Figueres si dicono ottimisti sul fatto che  alcuni progressi in Sudafrica potrebbero essere fatti in alcune aree tecniche, quelle sulle quali si è registrato  un ampio sostegno l'anno scorso a Cancun. Anche se la crisi economica è nuovamente precipitata dopo la Cop 16 Unfccc messicana, gli Usa e L'Onu si aspettano progressi per la messa a punto della struttura del  Green Fund, che dovrebbe n mobilitare 100 miliardi di dollari all'anno in aiuti per l'adattamento al cambiamento climatico ai Paesi in via di sviluppo. Gli Usa si aspettano anche che a Durban vengano approvate le linee guida per una rendicontazione ed un monitoraggio trasparenti delle attività per la riduzione delle emissioni anche nei Paesi che si sono impegnate ad attuarle solo volontariamente, come Cina ed India.

Australia e Norvegia sembrano capire che a Durban può saltare l'intera architettura dei negoziati climatici faticosamente e lentamente costruite con la roadmap di Bali ed hanno proposto all'Onu che si rimandi l'approvazione di un nuovo trattato vincolante per limitare le emissioni globali di gas serra al 2015,

Il summit di Durban quindi dovrebbe approvare una specie di moratoria post Protocollo di Kyoto ed avviare un processo di revisione quadriennale per la sua sostituzione, «Riconoscendo che l'accordo tra le principali economie e le nazioni in via di sviluppo avrà bisogno di molto più tempo di quanto sperato».

Secondo norvegesi ed australiani, «Un approccio graduale da Durban al 2015 darà il tempo e lo spazio ai Paesi per costruire la fiducia e le capacità e garantire un risultato affidabile nel tempo».

Australia e Norvegia  suggeriscono che i Paesi del mondo «Dovrebbero utilizzare Durban per iniziare a valutare  gli impegni di "scaling-up emission"  assunti lo scorso anno. Le parti possono iniziare a Durban a  concordare i principi, le linee guida e regole per garantire una contabilità rigorosa, solida e trasparente degli obiettivi e delle azioni, sulla base delle regole del Protocollo di Kyoto».

Insomma una specie di via di mezzo, che riconosce l'efficacia del Protocollo ma che dà una mano agli americani. Comunque, secondo la proposta norvegese-australiana, i Paesi più poveri non dovrebbero assumere alcun obbligo giuridicamente vincolante, ma essere incoraggiati a sviluppare strategie di sviluppo low carbon con il sostegno internazionale.

Il massimo climate change adviser del governo australiano, Ross Garnaut, sottolinea «Il ruolo importante della nazione nella lotta contro le emissioni globali. Siamo famosi come il Paese sviluppato con le più alte emissioni pro capite». Ma Garnaut ammette che il governo di Canberra sta ancora tentando di far passare definitivamente la legge sul carbon price in parlamento, ma che «C'è incertezza nel prevedere i costi della mitigazione dei cambiamenti climatici. Anche nei pochi anni tra il 2007 e il 2011 abbiamo constatato che i costi di una serie di nuove tecnologie erano significativamente più bassi di quanto si presumeva. Ciò sarà incertezza fino a quando discuteremo dell'istituzione del carbon price e l'opposizione federale continuerà ad abbandonare l'aula per non far passare la tassa».

E' abbastanza chiaro che la "moratoria" di Kyoto riguarda le difficoltà dei Paesi sviluppati a far passare le necessarie politiche interne di riduzione delle emissioni, in Australia come negli Usa, ma per nascondere queste difficoltà non si può invocare sacrifici da parte dei Paesi in via di sviluppo od emergenti. L'incoerenza degli uni sembra sostenere le rivendicazioni e i sospetti degli altri. La polemica ed la sempre più concreta possibilità di un nuovo fallimento a Durban stanno in poche parole, sempre le stesse: i "ricchi" non vogliono rinunciare al loro livello di consumi, i "poveri" dicono di avere il "diritto" ad arrivarci.

Chi rischia di rimetterci con questa moratoria dell'irresponsabilità politica è l'intero pianeta e quindi l'intera umanità.

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