[21/09/2011] News

Del dopo Berlusconi e del prima che sia troppo tardi, sostenibilmente parlando

Nel giorno in cui due dei più influenti e certamente non "di sinistra" quotidiani italiani - il Corriere della Sera e il Sole24Ore - chiedono in prima pagina le dimissioni del presidente del consiglio Silvio Berlusconi, e nel bel mezzo di una crisi evidentemente strutturale, sono le voci di Zygmunt Bauman e Janez Potocnik quelle che ci danno un minimo di speranza.

Le analisi del sociologo polacco e le proposte del commissario europeo per l'Ambiente convergono nell'esigenza di una trasformazione della nostra economia verso una ecologicamente e socialmente sostenibile finalmente con proposte concrete. Il rovescio della medaglia è naturalmente il fatto che arrivino proprio nel momento più basso della storia dell'Ue, che ormai di Unione europea porta a stento il nome, per di più relegate - vedi soprattutto la ‘tabella di marcia della Commissione europea per un uso efficiente delle risorse' presentata ieri - in pagine poco nobili dei quotidiani nazionali quando non del tutto ignorate, ma sappiamo (e contiamo sul fatto) che è proprio il momento più buio quello che precede l'alba.

Se ci dovessimo (finalmente) liberare di Berlusconi non ci libereremo infatti di un modello di sviluppo economico insostenibile che nonostante abbia mostrato assai la corda, viene ancora presentato dai più come l'unico possibile. Secondo Valentino Parlato del Manifesto, c'è persino il rischio di una deriva ancora più a destra del nostro Paese.

Dal nostro punto di vista non cambierà nulla se chi gli succederà non costruirà proprio su un modello diverso la propria proposta di governo e questo che la proposta stessa nasca dal basso, dall'alto, da oltre o da destra e sinistra.

Spiega Bauman nel brano pubblicato da Repubblica che è un estratto della nuova prefazione alla nuova edizione di "Modernità liquida" «I crescenti livelli di opulenza si traducono in crescenti livelli di consumo; del resto, arricchirsi è un valore tanto desiderato solo in quanto aiuta a migliorare la qualità della vita, e ‘migliorare la vita' (o almeno renderla un po´ meno insoddisfacente) significa, nel gergo degli adepti della chiesa della crescita economica, ormai diffusa su tutto il pianeta, ‘consumare di più'.

I seguaci di questo credo fondamentalista sono convinti che tutte le strade della redenzione, della salvezza, della grazia divina e secolare e della felicità (sia immediata che eterna) passino per i negozi. E più si riempiono gli scaffali dei negozi che attendono di essere svuotati dai cercatori di felicità, più si svuota la Terra, l´unico contenitore/produttore delle risorse (materie prime ed energia) che occorrono per riempire nuovamente i negozi: una verità confermata e ribadita quotidianamente dalla scienza, ma (secondo uno studio recente) recisamente negata nel 53 per cento degli spazi dedicati al tema della ‘sostenibilità' dalla stampa americana, e trascurata o taciuta negli altri casi».

Questi sono i principi dai quali liberarsi e sembra fargli eco e in qualche modo rispondergli proprio Potocnik che vale la pena ricordare non è uomo di alcun partito: «Se i Governi, che devono periodicamente affrontare nuove elezioni, possono essere tentati di cercare rimedi a breve termine, chiunque abbia a cuore il futuro del pianeta e le sorti delle generazioni a venire si rende conto che occorre riflettere anche sul tipo di occupazione e di crescita che vogliamo creare. Dobbiamo trasformare le nostre economie, non soltanto migliorarle. La soluzione non va ricercata all'interno delle strutture economiche esistenti, ma creando piuttosto gli incentivi giusti per innescare la trasformazione che servirà a garantirci un futuro sostenibile. L'odierna crisi economica è soprattutto frutto di un indebitamento pubblico eccessivo, che non è però il solo genere d'indebitamento che in questi anni abbiamo contratto in eccesso».

Ma dice anche dell'altro: «Se continuiamo a usare le risorse esistenti al ritmo attuale, per sostentarci ci servirà l'equivalente di due pianeti. Le dimensioni del nostro pianeta e la quantità delle risorse non possiamo cambiarle, quel che possiamo invece cambiare è la nostra mentalità e l'approccio al problema. La cura per sopperire alla scarsità delle risorse non sta nell'arrestare la crescita economica, ma nell'usare meno per produrre di più, e poi sostituire, riutilizzare, riparare e riciclare quel che produciamo. Così, dopo la rivoluzione industriale e quella tecnologica, ce ne vuole un'altra: la rivoluzione del buon senso».

Non meno importanti le conclusioni: «Gli ambientalisti e l'industria devono lasciarsi alle spalle le vecchie polemiche e lavorare insieme, perché l'economia e l'ambiente non solo possono, ma devono procedere fianco a fianco. Già oggi possiamo vedere come non ci sia conflitto tra competitività e un uso avveduto delle risorse, giacché in Europa i Paesi più bravi sotto questo profilo sono anche tra i più competitivi.

Non si tratta di una coincidenza. Per poterne uscire vincente domani, l'Europa deve avviare questa trasformazione oggi. Tutti noi, in quanto consumatori, possiamo svolgere un ruolo importantissimo per far virare di rotta le nostre economie: facendo scelte consapevoli. Nella sola Europa usiamo ogni anno 16 tonnellate di materiale a testa, 6 delle quali diventano rifiuti. Possiamo scegliere di comprare prodotti che sono fabbricati in maniera sostenibile, consumano meno energia, sono confezionati con meno imballaggi, durano di più e possono essere riparati o riciclati».

Si può chiedere e fare meglio? Certo, non c'è limite al meglio. Ma la strada è tracciata. Qui si giocano le sorti del pianeta e quindi anche dell'economia e quindi anche dell'Italia. Si potrebbe dire che non ci sono altre vie, ma questo ancora non pare chiaro a molti, dunque che almeno ci sia la consapevolezza che sia la migliore delle scelte possibili. Finalmente in Ue e ad alto livello alla questione energetica si affianca quella della materia in un'ottica di scelta di quale crescita vogliamo e quindi di quale modello di sviluppo vogliamo perseguire. Con l'efficienza, il risparmio energetico e le rinnovabili poste sullo stesso piano del riuso, e del riciclo di materia. Il tutto in un'ottica comunque industriale.

Posto l'orizzonte, servirebbe quindi un piano Marshall mondiale (ovvero un piano mondiale per il governo delle materie prime fisiche e della loro trasformazione dove si produce, cosa, con quali salari e diritti e perché, in rapporto alla sostenibilità economica, sociale e ambientale e contemporaneamente un piano energetico mondiale, ovvero come ci si approvvigiona e dove di energia; come si produce e dove, l'energia che serve) e magari anche un sistema di regole globale per indirizzare tutti i governi a perseguirlo - dando la cabina di regia magari all'Onu - pur ognuno con le sue peculiarità.

L'Italia avrebbe un ruolo chiave che potrebbe rilanciarla da tutti i punti di vista avendo però chiara una cosa: non si torna indietro. I livelli di consumi degli scorsi anni non possono essere né replicati, né auspicati. Quindi lo sviluppo si dovrà misurare non più con il Pil, serviranno altri indicatori e servirà un altro modello di welfare. Per tentare di far vivere dignitosamente 7 miliardi di persone su questo pianeta la strada è strettissima. "Ogni alba ha i suoi dubbi", diceva Alda Merini, ma è sempre meglio dell'oscurità...

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