[01/09/2011] News

Stefano Zamagni a greenreport.it: «Le cooperative sono necessarie per civilizzare il mercato, la tassa prevista nella manovra neanche č lecita»

Ad intrufolarsi tra le innumerevoli e sempre più oscure pieghe della manovra ordita dal governo, che camaleonticamente cambia pelle ad ogni battito di ciglia, sembra che il colpo di machete si abbatterà stavolta anche sulle cooperative, per le quali è ipotizzato un possibile taglio alle agevolazioni fiscali finora previste.

Tenendo in debito conto il particolare ruolo recitato sul mercato da queste peculiari imprese con radicata tradizione nel nostro Paese, un simile intervento da parte dell'esecutivo sembra mettere a rischio la loro caratteristica di mutualità, che già da più parti accusano di essersi incrinata nel tempo.

Oggi le cooperative sono già tassate, al 55% le coop di consumo, al 27% quelle bancarie, al 20% le agricole ed al 30% quelle di lavoro; per discernere le conseguenze che porterebbe con se l'approvazione di questa nuova tassa, greenreport.it ha contatto Stefano Zamagni, economista italiano e docente di economia politica all'università di Bologna, noto per aver approfondito la natura, il ruolo e l'importanza delle imprese cooperative, nonché presidente del comitato scientifico di Aiccon (Associazione italiana per la cultura cooperativa e delle organizzazioni no profit).

Nella manovra da 45 miliardi articolata dal Governo si pensa ad un aumento della tassazione del 10% sugli utili accantonati a riserva dalle cooperative. Effettivamente, di cosa si sta parlando?

«Il vantaggio fiscale concesso alle cooperative è limitato solamente agli utili che vengono inviati a riserva, per essere poi reinvestiti nell'impresa cooperativa stessa. Quindi, da un punto di vista tecnico, per un simile provvedimento non si può parlare di tassazione, di cui si parla nel caso ricada sul reddito ottenuto nel corso dell'anno e rimasto nella disponibilità di chi lo ha accumulato. In questo caso invece si parla di un utile che le cooperative sono obbligate a mettere a riserva indivisibile: un socio non potrà mai venirne in possesso. Dal punto di vista giuridico, dunque, un'azione come quella prospettata non sarebbe neanche lecita, benché comunque legale».

Se dovesse comunque definitivamente concretizzarsi, quali riflessi avrà tale provvedimento?

«L'unico effetto che questa "tassa" avrebbe sarebbe quello di danneggiare l'economia italiana. Le cooperative, infatti, sono imprese investite di una funzione anticiclica: ovvero, quando c'è crisi queste non scappano o chiudono come sarebbe lecito aspettarsi da imprese di stampo prettamente capitalistico, ma invece rimangono sul mercato continuando ad assumere. Esattamente come è successo negli ultimi anni, quando - proprio grazie a quelle riserve indivisibili che si vorrebbe tassare - le coop hanno continuato ad investire, creando posti di lavoro. Sembra non si capisca che, con una riduzione delle riserve comunque altrimenti indisponibili (e quindi degli investimenti e dell'occupazione), gli unici che ci rimetterebbero sarebbero i disoccupati in cerca di lavoro, e non la cooperativa».

Non vanno poi solo citati motivi pragmatici da opporre ad una simile ipotesi, ma anche altri di natura simbolica: l'Italia è il paese più attrezzato ed avanzato al mondo per quanto riguarda il mondo delle cooperative, ed invece adesso incorriamo nel paradosso di voler tassare proprio coloro hanno merito. Chi cita il problema delle false cooperative ha ragione, vanno certamente perseguite, ma è un discorso che non ha niente a che vedere con quello della tassazione».

Valutando vie alternative per affrontare la crisi, a livello europeo è tornato un tiepido interesse per la Tobin tax, verso la quale lei si è sbilanciato firmando, insieme ad un nutrito gruppo di economisti, un appello in favore di una sua implementazione. È un cavallo di battaglia che torna periodicamente, ma come si spiega che nessuno trova mai il coraggio di lanciarlo definitivamente?

«Perché, prendendo a prestito le parole di don Abbondio il coraggio, se uno non ce l'ha, non se lo può dare. La colpa va in buona parte anche agli economisti, che non sono evidentemente riusciti a far veicolare l'idea giusta: la critica che infatti viene più comunemente mossa alla Tobin tax è che distorce l'allocazione dei capitali, quando ha come scopo proprio quello di diminuire l'efficienza del mercato finanziario, e non di aumentarla! L'idea primigenia va attribuita a John Hicks, premio Nobel ed uno dei più grandi economisti del ‘900 che, usando una metafora, asseriva come ogni tanto è necessario mettere dei granellini all'interno della macchina della finanza. Un altro nobel per l'economia, James Tobin, ha in seguito recuperato quest'idea, e lanciato la proposta della tassa che porta il suo nome.

Chi si mette di traverso alla Tobin tax, non vuole affrontare il problema: chi rema contro sono coloro che pensano che l'avidità sia la macchina del capitalismo, e vogliono che continui ad esserlo. Ho rispetto per quest'impostazione, ma deve essere chiara e esplicitata pubblicamente: così sarebbe anche possibile discuterne, contrapponendo visioni diverse. Dire che si è contro la Tobin tax perché inefficiente è però pura e semplice tautologia, ed anche il mondo giornalistico ha le sue belle responsabilità per la diffusione di messaggio errato come questo».

La sua storia dimostra che crede molto nelle possibilità e nell'alternativa offerta da una democrazia cooperativa.

«Certamente. La via non può che essere infatti quella di una civilizzazione del mercato: ovvero, il mercato deve diventare una civitas, dalla natura inclusiva e non più esclusiva. Immaginando il mercato come una sorta di campo da gioco, è possibile raggiungere quest'obiettivo facendo giocare nell'arena diverse tipi d'impresa, ognuna con le proprie caratteristiche. Sono a favore delle cooperative proprio per questo motivo, per una pluralizzazione delle forme d'impresa, per la loro presenza sul mercato insieme alle imprese sociali, capitalistiche, non governative, speculative.

Ripeto, è chi vede nell'avidità il motore del capitalismo che non vuole realizzata questa prospettiva. Ma ormai non c'è più niente da fare, è evidente che la gente si sta stufando: non c'è storia che tenga, vuole un mercato civile».

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