[30/08/2011] News

Eurobond o EuroUnionBond? Intanto in Europa siamo in deficit di democrazia

Col trascorrere del tempo ed il precipitare della crisi, il concetto di "eurobond" (da usare come antidoto) si è allargato, e con questo termine di riferimento si confondono spesso proposte di titoli europei del debito di diversa natura. Come riportato anche sul sito de lavoce.info, l'originario eurobond prevede l'istituzione di un'Agenzia del debito europea che finanzi una percentuale variabile (40%-60%?) del debito pubblico degli stati dell'eurozona tramite l'emissione di eurobond, offrendo una fonte di finanziamento a basso costo, collettivizzando le garanzie come anche parte del rischio dei singoli debiti nazionali; la più recente proposta, quella prodiana dell'eurounionbond, invece, offre una sorta di mix tra l'eurobond e il project-bond, il titolo del debito emissione di società private per finanziare importanti progetti infrastrutturali, di valenza europea, che in ipotesi potrebbe essere rinvigorito e sostenuto dalle istituzioni europei.

L'eurounionbond prevede l'istituzione di un Fondo finanziario europeo con capitale pari a 1000 miliardi di euro, conferito dai singoli paesi in base alla percentuale della loro partecipazione al capitale Bce, facendo confluire nei conferimenti sia le riserve auree delle banche centrali delle singole nazioni, con l'aggiunta di azioni di società in mano agli stati (come Eni o Enel). Il Fondo, con una leva pari a 3, con un capitale così disegnato potrebbe emettere 3000 miliardi di euro di bond, ipotizzando una durata decennale ed un tasso d'interesse pari al 3%. I fondi così raccolti potrebbero essere impiegati sia per finanziare i progetti europei in energia, trasporti e telecomunicazione - verso una crescita sostenibile dovrebbe essere ormai sottointeso - che per rilevare e finanziare titoli di debito entro l'eurozona.

Se queste sono proposte, quel che è certo è che la via d'uscita europea dal tunnel della crisi ancora non è stata individuata, e la commissione economica dell'Europarlamento si è confrontata ieri sui punti caldi della governance europea con il presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Junker, il commissario agli Affari economici e monetari Olli Rehn, il presidente della Bce Jean-Claude Trichet ed il presidente dell'Ecofin Jacek Rostowski.

Prima dell'avvio della riunione le maggiori aspettative ruotavano proprio attorno al tema degli eurobond, che per il Parlamento europeo rimangono una delle chiavi di volta per dare una sterzata decisa alle urgenti problematiche che investono i debiti pubblici dell'eurozona; una mossa che, come anticipato dall'Ansa, troverebbe la convergenza delle principali correnti politiche europee, come un filo che lega tra loro i rappresentanti dei socialdemocratici dello S&D ai liberal-democratici dell'Alde, fino ai quelli dei Verdi, i popolari del Ppe o del gruppo di sinistra del Gue.

Ad incontro concluso, però, le speranze dei pro-eurobond sono state di nuovo sgonfiate sul nascere. Trichet, Junker (uno dei primi promotori dell'idea) e Rehn hanno svicolato il più possibile dall'argomento, con solo quest'ultimo che si è sbilanciato annunciando come l'Europa studierà proposte alternative all'eurobond, ma che l'ipotesi di una loro introduzione rimane degna di un'analisi approfondita, e ribadendo come una tale possibilità dovrà giocoforza essere accompagnata ‹‹da una maggior sorveglianza sui bilanci e da un più stretto coordinamento politico, per garantire un sistema di finanze pubbliche maggiormente sostenibile, con conseguenze evidenti sulla sovranità fiscale››.

Poco più che un nuovo buco dell'acqua, preceduto dall'uscita del ministro delle finanze tedesco Schauble, che puntualmente ha rimarcato che non è ancora il momento di parlare di eurobond, imponendo ancora una volta la linea della Merkel, col cancelliere tedesco nettamente contrario all'idea. Il quadro che ne esce fuori sembra quello di un'ulteriore perdita di democraticità delle istituzioni europee, dove il ruolo dell'Europarlamento rimane del tutto relativo, e piegato dagli autoritari diktat provenienti dall'asse franco-tedesco, forte della propria e decisiva importanza economica e politica sulla scena.

Sono dunque caduti nel vuoto appelli come quello lanciato prima dell'apertura della riunione dal deputato e vicepresidente vicario del Parlamento europeo, il Pd Gianni Pittella, che affermava come ‹‹gli eurobond sono l'unico modo per fare un salto in avanti e superare davvero la crisi, qualsiasi altra ipotesi è solo un pannicello caldo; è importante che il dibattito si svolga al Parlamento europeo che è l'unica sede adatta per trovare una ricetta comune ed ambiziosa, non Parigi o Berlino››. La palla passa dunque ancora una volta in mano all'opinione pubblica tedesca, che stavolta sembra però cominciare a rendersi conto della gravità della situazione: la Repubblica riporta oggi come anche in Germania sia stato lanciato un appello, sottoscritto già da 48 firme, col quale il gotha economico teutonico chiede di essere tassato di più, in nome di una necessaria e salubre riduzione della forbice del reddito che si allarga, polarizzando i cittadini su due fronti opposti.

Quello dei titoli del debito europei è il leit-motiv che con più forza e frequenza viene proposto come "l'idea originale" per tirare fuori l'Europa dal pantano del debito dove sta affondando, seppure puntualmente osteggiato da quelli che al momento sono gli autodichiaratisi leader dell'Unione, Merkel e Sarkozy, che avversano gli eurobond (in qualsiasi forma) come il medium perfetto per porre le esigenze collettive davanti, e a scapito, di quelle dei loro rispettivi "paesi virtuosi", Francia e Germania. Sono però in gioco le fondamenta stesse dell'Unione, con la scelta pressante di basare o meno la sua costruzione su solidarietà e democrazia. Da modello ed avanguardia per la sostenibilità sociale nel mondo, con lo stimolo pressante di migliorare continuamente su questo fronte, l'Europa rischia di essere la dimostrazione vivente della caduta fragorosa di questo orizzonte; la soglia d'attenzione non può che rimanere alta, in quanto il futuro dell'Unione corre ora sul filo d'un rasoio.

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