[25/08/2011] News

La recessione double-dip farà saltare i finanziamenti per l'adattamento al cambiamento climatico?

Se arriverà un'altra recessione, i Paesi ricchi rinunceranno a stanziare i 100 miliardi di dollari all'anno in aiuti clima che hanno promesso ai Paesi in via di sviluppo entro il 2020? E' questa la domanda che circola sempre più insistentemente nei colloqui climatici in preparazione della Cop 17 Unfccc che si terrà a Durban tra novembre e dicembre.

Molti dei Paesi più poveri del mondo, che sono in prima linea nella battaglia contro gli effetti del global warming, pagherebbero per avere una "crisi" come la nostra e con il nostro Pil, ma sanno che se i ricchi si impoveriscono a causa della speculazione finanziaria e dei limiti del modello di consumo occidentale, difficilmente saranno disposti a mettersi davvero le mani in tasca per aiutarli a combattere siccità, inondazioni, fame che sono il frutto avvelenato dei cambiamenti ambientali e climatici innescati da quello stesso modello di sviluppo.

Come spiegano Jeff Coelho and Valerie Volcovici su Point Carbon News, secondo l'accordo di Copenaghen del 2009 i Paesi industrializzati hanno promesso di fornire, entro il 2020, 100 miliardi di dollari all'anno in aiuti climatici. Intanto, per il periodo 2010-2012, avrebbero dovuto fornire 30 miliardi dollari di nuovi finanziamenti  per aiutare i Paesi poveri a ridurre le emissioni e ad adattarsi ai cambiamenti climatici. Secondo i dati 2010, mentre alcuni Paesi, nonostante la crisi, stanno rispettando gli impegni per arrivare ai 10 miliardi di dollari annui, altre grandi economie mondiali, a cominciare dagli Usa, devono ancora dire quanto intendono stanziare per il 2011 e il 2012, mentre altri Paesi industrializzati stanno letteralmente facendo finta di nulla e non rispettano le promesse fatte.

La battaglia senza esclusione di colpi dei repubblicani Usa al Congresso contro gli "sprechi" ha dato un colpo terribile agli aiuti climatici internazionali che sono passati da 1,4 miliardi di dollari a 750 milioni per l'anno fiscale 2011, con viva gioia della destra eco-scettica.

L'Ue ed i suoi stati membri hanno stanziato 2,34 miliardi di dollari, meno di un terzo dei 7,2 miliardi promessi per il periodo 2010-2012, e la lenta crescita di appena lo 0,2% dell'economia dell'eurozona (che viene rivista costantemente al ribasso) e la crisi economica e di bilancio di Paesi importanti come Italia e Spagna stanno sollevando più di una preoccupazione sulla reale possibilità dell'Ue di fare la sua parte nei finanziamento di 100 miliardi all'anno che sono necessari per non far scoppiare la crisi climatica tramutandola in tragedia planetaria

Poi c'è il Giappone, piegato dal terremoto/tsunami e dalla tragedia nucleare di Fukushima Daiichi e nel bel mezzo di una crisi politico-economica, che a Copenhagen aveva promesso 15 miliardi dollari oltre a quasi 30 miliardi di dollari di finanziamenti "fast-start", che ha detto che vuole  onorare i suoi impegni finanziari, ma che  prima dovrà fare i conti con i danni e i risarcimenti per il terremoto/tsunami e la crisi nucleare ancora in corso.

La "double-dip recession" che spaventa americani ed europei accresce il rischio che gli impegni presi prima a Copenhagen e poi a Cancun di aiutare i paesi poveri ad adattarsi ai cambiamenti climatici e a rallentare le emissioni in rapida crescita diventino sempre più labili mentre le borse affondano nella loro schizofrenica corsa dietro la speculazione finanziaria.  

Jennifer Haverkamp, a capo dell'international climate policy team dell'Environmental defense und, in un'intervista concessa a Coelho e Volcovici spiega che «alla base di tutto questo c'è che siamo in una situazione economica davvero cattiva e le novità sembrano essere sempre peggiri. Non c'è modo di ridipingerla come un bel quadro. E' abbastanza possibile che alcuni Paesi non abbiano intenzione di avvicinarsi ai loro impegni».

Ma l'accordo di Copenaghen richiede anche ai grandi Paesi emergenti come Cina, India e Sudafrica di avviare azioni di mitigazione per le loro emissioni e Coelho e Volcovici fanno notare che «Qualsiasi rallentamento economico negli Usa o nell'Ue è una minaccia per le promesse di finanziamento che potrebbe alzare la posta in gioco alle prossime trattative sul clima delle Nazioni Unite a Durban».

Sally Nicholson, manager per le politiche per lo sviluppo e la finanza del Wwf a Bruxelles è abbastanza scoraggiato dalla piega che stanno prendendo le cose e che sembra aver fatto sparire la crisi climatica dall'orizzonte della politica e dell'economia: «Riconosciamo che questa ombra economica rimette tutto in bilico e non credo che possa essere evitato. I Paesi sviluppati sembrano determinati a prendere futuri impegni finanziari per le azioni sulla mitigazione dei gas serra solo se li prenderanno anche i grandi Paesi in via di sviluppo».

Insomma il double-dip rischia di essere anche ambientale, rimettendo in discussione tutti gli insufficienti impegni presi da Bali a Cancun, passando da Copenhagen e trasformando Durban in un pantano di indecisione invece che in una pista sulla quale rilanciare le azioni per salvare il pianeta e quindi le basi stesse dell'economia, della pace e del benessere umano.

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