[17/08/2011] News

I rating sulla solvibilitā dei debiti sovrani? Il metro sia la sostenibilitā

Dalle pagine del britannico Guardian, Simon Zadek - senior fellow al Global green growth institute e al Centre for government and business dell'Harvard University's Kennedy school - rilancia la questione della pertinenza dei giudizi espressi dalle agenzie di rating, riprendendo il downgrade degli Usa da parte di Standard & Poor's e filtrandolo nell'ottica della sostenibilità.

 ‹‹Mancare la considerazione per le risorse naturali e le esternalità sociali è una pratica che porterà alla caduta dell'intera struttura, dell'economia e tutto il resto. La protagonista di questo spettacolo è la politica economica statunitense, che si è trasformata in un cannibale che divora la propria stessa capacità di avere successo in futuro. La verità è che se S&P avesse contabilizzato questo nella misura del merito creditizio, gli Usa avrebbero dovuto subire un downgrade già molte lune fa››.

Tra i molteplici difetti per cui le agenzie di rating espongono il loro ruolo ed il loro operato a critiche anche feroci, sicuramente rientra anche l'accusa di non basare i loro verdetti su presupposti corretti: ‹‹le agenzie di rating esistono al fine di fornire una visione sulla futura solvibilità dei mutuari - continua Zadek - eppure ancora oggi i rating non considerano la sostenibilità alla base delle economie analizzate, siano esse compagnie, città o stati››.

Sostenendo giustamente come invece i giudizi incentrati sulla sostenibilità possano costituire una più pertinente misura per esprimere le potenzialità a lungo termine di un paese, Zadek auspica come possa ruotare attorno a tali elementi la costruzione dei rating sovrani, al contrario di quanto accade oggi, ed a sostegno della sua tesi mette due studi in particolare sul piatto, uno firmato da Oekom Research e l'altro, più recente, da Bank Sarasin.

Lo studio prodotto da Bank Sarasin, come suggerisce Zadek, sottolinea come ‹‹in larga misura, la solvibilità a lungo termine di una nazione dipende dalle sue entrate fiscali future». Questo richiede una ‹‹base fiscale sostenibile, che poggia principalmente su beni e servizi futuri. Questi, a loro volta, dipendono dalla disponibilità di risorse naturali, sociali ed economiche del Paese, e la sua efficienza nel convertire tali risorse in beni e servizi disponibili››.

La conclusione è che, come nel caso della crisi del debito dei paesi dell'Europa meridionale, studiato da Bank Sarasin, sono proprio quegli stati che non solo vivono al di sopra delle loro possibilità finanziarie - ma soprattutto al di sopra di quelle ecologiche - che cadono più facilmente in crisi e, al concretizzarsi di questa eventualità, si mostrano meno resilienti.

Come nel caso degli indici alternativi al Pil, necessari per definire una politica economica che sia efficace ed efficiente e prenda di mira le criticità più cogenti della struttura produttiva e distributiva che caratterizza il mercato globale, siamo ancora in alto mare. Qualche nuova proposta periodicamente appare, ma non riesce mai ad attecchire veramente, portando con se quella ventata di concretezza di cui si sente sempre più bisogno.

Eppure, che qualcosa si muova non è affatto indegno di nota. Anche il World economic forum ‹‹dopo anni di pubblicazione del suo Indice di competitività globale per ogni paese, sta ora preparando il suo primo Indice di competitività sostenibile rinforzando il messaggio per cui la "competitività responsabile", è la chiave per migliorare la produttività e la creazione di benessere - chiosa Zadek››.

In un mondo basato sui numeri, trovare quelli giusti su cui concentrarsi sarebbe già un bel passo avanti per cominciare a districare la matassa dei problemi ambientali, sociali ed economici dai quali siamo attorniati, e che si manifestano nella depauperazione di risorse e beni comuni, con una concretezza che va ben al di là delle fredde e distaccate teorie economiche.

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