[11/08/2011] News

Politica industriale italiana e vertenza Irisbus: meno trasporto pubblico...e pił mobilitą privata

L'Italia è il Paese europeo con il parco bus più vecchio d'Europa. L'Italia è il Paese dove non si investono soldi per l'ammodernamento di tale parco mezzi. L'Italia è il paese che ha deciso di disinvestire nel servizio di trasporto pubblico locale e i tagli alle corse, in ogni città di ogni regione lo stanno a testimoniare.

In questo contesto non deve stupire al decisione di Fiat di liberarsi dello stabilimento irpino Irisbus, gioiello industriale degli anni d'oro della Democrazia cristiana e dell'impero demitiano, sorto nel deserto industriale di un'Irpinia pronta a reinventarsi una vocazione di ‘metalmezzadria'.

Michele Fumagallo sul Manifesto ravvisa proprio nella miopia industriale italiana la giustificazione a dismettere l'unico stabilimento nostrano di autobus, spostando tutta la produzione in Repubblica Ceca e in Francia, dimostrando quindi che la scelta non è affatto spiegabile con preponderanti motivazioni di risparmio del costo del lavoro, bensì a una diversa strategia industriale, in Italia completamente dimenticata.

La crisi del manifatturiero è ormai roba vecchia: dal 1990 nei paesi sviluppati la quota degli occupati nel settore manifatturiero sul totale della forza lavoro è scesa del 5%. «Il che non sarebbe necessariamente un male - chiosa oggi sul Sole 24 ore Dani Rodrik, docente di economia politica all'università di Harward - se la produttività della manodopera e i guadagni dell'industria non fossero sensibilmente più alti (il 75% in più) rispetto al resto dell'economia».

Nella sua riflessione Rodrik parte da un presupposto, che non può non essere condiviso «un errore tipico quando si valuta l'industria manifatturiera, è quello di prendere in considerazione solo la produzione o la produttività, senza tener conto della creazione di posti di lavoro» e soprattutto della creazione di posti di lavoro non qualificato, che costituiscono dunque una valvola sociale di sfogo non indifferente.

«Man mano che le economie si sviluppano e diventano più ricche - prosegue Rodrik - , "il fabbricare cose" inevitabilmente diventa meno importante, ma se l'industria declina più rapidamente della capacità dei lavoratori di acquisire competenze avanzate, il risultato può essere un pericoloso squilibrio tra la struttura produttiva di un'economia e la sua forza lavoro. Le conseguenze di questo squilibrio le vediamo in tutto il mondo, non solo sotto forma di cattivo andamento economico, ma soprattutto come allargamento della diseguaglianza e polarizzazione della politica».

Greenreport ha sostenuto più volte che l'uscita dalle crisi sarà possibile solo attraverso una nuova strategia industriale che significa prima di tutto industria manifatturiera sostenibile, investendo in ricerca, trasferimento tecnologico, export di qualità, il tutto finalizzato però alla sostenibilità.

E gli aggettivi sono importanti. Non va bene un'industria qualsiasi, come potrebbe essere  quella molisana dei suv di Di Risio, buona a salvare un po' di posti di lavoro (non tutti) per qualche anno (non tanto), e non va bene proprio perché non si tratterebbe di industria orientata alla sostenibilità.

Tutto è legato: dai suv sovradimensionati che mangiano risorse al trasporto pubblico che invece offre servizi e qualità della vita. Basterebbe saper scegliere, politicamente, pensando al fatto che l'economia è uno strumento con cui gestire nel modo più corretto le risorse scarse.

Ma nell'Italia delle autostrade, realizzata ad immagine dell'industria automobilistica privata, sarà difficile uscire da questo modello mentre si continua per inerzia a perpetuarlo sul territorio  chiudendo intanto le fabbriche.

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