[09/08/2011] News

Iraq: ottimi affari per le multinazionali petrolifere, pessimi per i diritti umani

Mentre le multinazionali petrolifere, come il consorzio britannico-cinese Bp/Cnpc, la Shell, l'ExxonMobil rinegoziano vantaggiosamente le loro concessioni petrolifere in Iraq, che rappresentano oltre il 60 per cento delle riserve irachene, mettendo in atto quella spartizione del bottino di guerra che era la vera ragione dell'invasione del Paese e della necessità di disfarsi dell'ex amico Saddam Hussein, un rapporto della United Nations assistance mission for Iraq (Unami) e dell'Office of the High Commissioner for human rights dell'Onu spiega che sono ancora molto lontani dal raggiungimento tutti gli altri obiettivi, quelli democratici e sociali, dell'invasione-liberazione della "coalizione dei volenterosi" alla quale partecipò anche l'Italia.

Secondo il "2010 Report on Human Rights in Iraq" «la violenza armata le violazioni "silenziose"  dei diriottio dell'uomo colpiscono sempre larghe parti della popolazione in Iraq».

Dopo la ritirata delle nostre truppe dalla sciagurata guerra irachena quel Paese è entrato in un cono d'ombra mediatico e in molti credono che le elezioni "democratiche" lo abbiano pacificato mentre intorno, dalla Siria all'Iran, dalla Giordania alle penisola araba, dal Libano ad Israele e Palestina tutto esplodeva. Ma il rapporto Onu ci racconta un'altra storia: fa il punto sugli impatti degli scontri armati e delle violenze settarie siulla popolazione civile, sugli arresti e le detenzioni arbitrari, e sulla violazione delle regole democratiche e dei diritti, soprattutto di quelli di alcuni gruppi di cittadini. Ciosì, mentre la Bp e le altre grandi sorelle, vecchie e nuove, impongono la pax petrolifera ad un governo debole e condizionato dagli iraniani, dal documento Onu emerge un quadro preoccupante della situazione dei diritti politici, compresi quelli di riunione e di espressione, ma soprattutto che «La povertà, la stagnazione economica, la mancanza di opportunità, il fegrado ambientale e l'assenza dei servizi di base costituiscono delle violazioni "silenziose" dei diritti dell'uomo e colpiscono gran parte della popolazione. La violenza armata ha un impatto nefasto sulle infrastrutture civili».

Secondo gli stessi dati forniti dall'Unami e dal governo iracheno, «almeno 3mila persone sarebbero state uccise nel 2010 da insorgenti armati o da gruppi terroristi. Le minoranze, le donne ed I bambini restano le prime vittime di queste violenze. Problemi seri rimangono nell'applicazioone e nell'amministrazione della legge, in particolare si tratta del rispetto del diritto ad una procedura regolare e ad un processo equo. L'impunità resta una seria sfida i Iraq. Gli altri crimini commessi durante numerosi anni rimangono impuniti. Nel 2010 sono state scoperte numerose fosse comuni contenenti i cadaveri delle vittime dei crimini che sono avvenuti durante diversi anni».

Anche, se rispetto ai primi tempi dell'invasione, delle torture generalizzate, delle esecuzioni e degli arresti arbitrari e settari, le condizioni di detenzione nelle prigioni irakene sono migliorate, i casi di abusi e tortura sono ancora frequenti. «L'utilizzo delle confessioni nelle condanne incoraggia questa tendenza», spiega il rapporto che evidenzia anche un altro aspetto degli inaspettati risultati di una guerra che prometteva di portare libertà e democrazia agli iracheni ed alle irachene: «Per alcuni aspetti i diritti delle donne sono andati indietro, cosaì come quelli dei bambini. I bambini continuano a sopffrire per la violenza e per i conflitti armati. In alcuni casi, dei bambini sono stati reclutati o forzati a commettere atti di violenza. Le minoranze sono state vittime di un gran numero di attacchi, in particolare quella cristiana».

Sembra proprio che la situazione descritta da Greg Muttitt, autore del rapporto "Fuel on the Fire - Oil and politics in occupied Iraq"" pubblicato dalla Ong britannica Platform, possa estere estesa a tutto il Paese: «Dalla  casa di vetro alla stanza piena di fumo: come la Bp ha segretamente rinegoziato il contratto del petrolio irakeno e come gli irakeni ne pagheranno il prezzo». Un prezzo di una guerra per "la democrazia" che le donne, i bimbi e le minoranze dell'Iraq stanno pagando molto caro, nel disinteresse del mondo che ormai si è scordato di quella "missione compiuta" e che ne pretende il debito in barili di petrolio e metri cubi di gas.

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