[08/08/2011] News

Italia commissariata, ora serve un segnale di discontinuitą

L'economia mondiale sbanda, agonizzante, avviandosi verso quello che sembra il famigerato double-dip, il secondo tonfo della crisi iniziata nel 2008 e mai veramente risolta, nonostante i proclami portati avanti fino ad ora dal governo italiano. Che venga raggiunto o meno, la prospettiva di questo nuovo precipizio sembra possa ormai essere evitata solamente al caro prezzo di una nuova sottomissione del potere politico a quello finanziario, accompagnata da un nuovo saccheggio delle tasche pubbliche da parte della sempre più famelica "mano invisibile" dell'economia.

Dal Vecchio continente le buone nuove sono un bene sempre più raro. Dopo una nerissima settimana sui mercati finanziari mondiali, il centro del ciclone europeo rimane l'Italia. Con i vertici alla guida dello Stivale che hanno perso qualsiasi credibilità internazionale, premier in testa, si parla di commissariamento per un'Italia che, da sola, non è ritenuta capace di restare a galla nel mare in tempesta della crisi.

Sono la Bce, la Francia, la Germania e gli Stati Uniti che si sono presi gentilmente la briga di tirare per noi le fila dei nostri fatti interni, che più tanto interni non sono: nelle parole di Mario Monti,  ‹‹le decisioni principali sono state prese da un "governo tecnico sopranazionale" e si potrebbe aggiungere "mercatista"››. Una capitolazione dell'Italia sarebbe d'altronde un colpo mortale per l'Euro, magari anche per l'Unione, in un effetto domino che non lascerebbe nessuno indenne; non è certo dunque lo spirito del buon samaritano a guidare i nostri aspiranti Virgilio, che sottolineano comunque e nostro malgrado quale sia la considerazione (nulla) che l'Italia, pur con tutto il suo peso storico ed economico, gode in ambito internazionale.

Ma con quale sicurezze ci affidiamo a queste guide? Il curriculum dei soggetti, più che di aspiranti Virgilio lascia pensare a dei navigati Caronte, pronti solo a sbarcarci in un inferno più rovente di quello dove siamo adesso capitati. Ci chiedono di fidarci, di far dettare loro l'agenda per il Paese, in cambio di un aiuto (fisicamente rappresentato, almeno in parte, dall'ok arrivato per l'acquisto di titoli di Stato da parte della Bce, per allentare la pressione sul nostro debito e quello spagnolo) che con tutta probabilità sarebbe solamente una nuova flebo. La storia delle passate crisi del debito dei paesi poveri o in via di sviluppo, con i relativi commissariamenti e strategie di rilancio, confermata dai recenti sviluppi greci, di certo non conforta.

Privatizzazioni selvagge, distruzione del welfare, svendita dei beni comuni della nazione: lacrime e sangue, le stesse che potrebbero seguire un default magari, con una ripresa altrettanto lenta e dolorosa, e con in aggiunta una "spolverata" di ingiustizia sociale. È necessario sorvegliare che il destino disegnato per l'Italia non sia questo, ribaltando le aspettative.

Gli aggiustamenti in corso d'opera prospettati dal governo fanno di nuovo tremare gli strati più disagiati della società italiana. Il principio per cui sarebbe giusto chiedere di più a chi più ha di più per affrontare questa causa comune sembra essere definitivamente sepolto, ma non si tratterebbe solo una scossa di moralità. Colpendo ancora di più le fasce deboli e medie della società si mina alla base la possibilità di una ripresa, con un'alta probabilità di accelerare la spirale depressiva che ci si prospetta innanzi. Nel frattempo, affidare la guida dell'Italia ad un governo tecnico nazionale, piuttosto che ai poteri esterni alla nazione sopracitati, non sembra più un'idea tanto peregrina.

Una volta intrappolatici con le nostre mani nella ragnatela della nostra economia, diveniamo soggiogati a regole economiche che abbiamo contribuito ad auto-definirci, scambiandole per leggi naturali. Per imboccare la via d'uscita, non sembra voler tenere a mente un'importante considerazione. La crisi che rischia di essere davvero irreversibile non è la crisi del debito: è la crisi delle risorse, materie prime ed energia, sulle quali l'economia reale si basa. Oltre, ovviamente, alla conseguente crisi sociale.

Si parla di crescita, ma le tematiche ambientali e dello sviluppo sostenibile sono relegate ai margini, come se fossero un problema minore, da affrontare con comodo quando la speculazione dei mercati e la crisi debitoria sarà passata. Il tempo è però ancora meno indulgente dei mercati finanziari, ed è la prima variabile da riconquistare, per affrontare i limiti veri e strutturali del nostro modello socioeconomico, che sono tutti legati alla sua definizione di sistema aperto ed integrato con l'ecosistema: una volta rotto questo, di giocattolo, nessuno penserà più al machete di Tremonti come soluzione al problema.

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