[05/08/2011] News

Galeotti a greenreport.it: «Serve una strategia nazionale che punti su efficienza e rinnovabili»

Abbandonata l'idea nucleare sarebbe assurdo puntare sul carbone "falsamente pulito": spetta al governo indirizzare il mercato, ma il suo pedigree non fa ben sperare

Mentre le borse di tutto il mondo (capitanate da Piazza Affari) sembrano percorrere delle montagne russe senza fine, con dei picchi verso il basso molto più frequenti delle risalite, il rilancio dell'economia reale viene ancora relegato in secondo piano dal nostro esecutivo. Per quanto riguarda i temi energetici, il ministro Romani rimanda ancora l'esigenza, comunicando l'intenzione di indire una Conferenza nazionale sul tema per metà settembre, percorrendo ancora la strada della procrastinazione continua.

Oltre che la mancanza di impegno concreto, però, in Italia si lamenta anche la scarsità delle idee, o la loro impostazione retrograda. Invece di puntare con decisione la locomotiva verso un futuro (prossimo) rinnovabile, il governo ha prima cercato di rilanciare invano il nucleare civile, affossando il più possibile il settore delle energie rinnovabili (uno dei pochi ancora a far da traino dell'economia italiana), mentre adesso tituba sul da farsi, quando non pende verso un revival del carbone - millantandolo come "pulito".

Greenreport.it ha contattato per un confronto sul tema Marzio Galeotti, professore ordinario di economia dell'ambiente e dell'energia presso la facoltà di scienze politiche dell'Università degli studi di Milano, nonché penna de lavoce.info e direttore di ricerca presso il Centro di ricerca sull'economia e politica dell'energia e dell'ambiente (Iefe) dell'Università Luigi Bocconi.

Si susseguono i rapporti sulla possibilità economica e tecnica di consegnare da qui al 2050 il 100% dell'approvvigionamento energetico alle fonti rinnovabili, ed alcuni paesi, come la Danimarca, tracciano già la loro via per l'indipendenza dai combustibili fossili. Quali sono le condizioni per cui questa transizione possa compiersi, in Italia come in Europa e nel mondo?

«Personalmente non ho condotto nello specifico studi di questo genere: è vero che ormai ce ne sono molti che contemplano la possibilità di raggiungere concretamente questo obiettivo, ma non so offrire un giudizio più preciso in merito. Sicuramente sono presenti importanti vincoli infrastrutturali che dovrebbero eventualmente essere superati, portando avanti un grossissimo sforzo che investa le reti di distribuzione, le reti intelligenti, tutto quello che è necessario per la produzione di energia.

A mio parere la cosa certamente interessante è il fatto che se ne parli, che si prospetti ora concretamente una possibilità che fino a poco tempo fa considerata molto più remota. Questo tipo di studi, fissando degli obiettivi e ritenendoli raggiungibili, hanno un forte valore pedagogico, servono a costruire un importante incentivo psicologico».

Quali sono i costi stimati per compiere la transizione, e come è possibile trovare le risorse, in tempo di crisi? Quali invece i costi stimati della non-azione?

«Quando si parla di questi argomenti, i numeri dati sono sempre molto vaghi. È sicuro che una transizione energetica di questa portata richieda un grosso sforzo finanziario. Un aspetto però molto sottovalutato è che spesso ci si concentra eccessivamente sui costi, senza però consegnare la debita considerazione ai benefici: chi si occupa di questi temi sa quanto importanti siano, ma i benefici rimangono sempre molto più difficili da calcolare rispetto ai costi. Si abbandona così il calcolo costi-benefici, finendo per concentrarci solamente sui costi, oscurando l'altra faccia della medaglia e dando l'impressione di non realizzabilità della transizione energetica.

Prendendo come esempio lo sforzo che sta portando avanti la Germania, l'impegno messo in campo per l'adeguamento delle reti di distribuzione elettrica è enorme, ma va considerato come fissando obiettivi ambiziosi si offra anche uno stimolo all'economia ed alle innovazioni tecnologiche stesse.

Chi sembra non capirlo sono i nostri governanti, che ancora non hanno questa prospettiva  come del resto i macroeconomisti di stampo classico. Lo stesso Alberto Alesina, un caro amico, ha pubblicato tempo fatto un articolo sul Sole 24 Ore dicendo come pur di favorire il rilancio dell'economia vada bene qualsiasi tipo di produzione, anche inquinante; questo è emblematico della visione del macroeconomista tradizionale, che ancora non ha incorporato nella propria visione gli elementi dell'economia ecologica e della protezione ambientale. Io ed Alesina abbiamo affrontato lo stesso percorso di studi, e posso confermare come a quei tempi questo tipo di teorie non fossero presenti negli ambienti accademici. Ma ancora adesso, rimane una forte scarsità di attenzione da parte delle università per l'economia ecologica».

La classe dirigente italiana sembra particolarmente inadatta anche solo a seguire il cambiamento, per non parlare della possibilità di far parte degli apripista. Pensa ci sia possibilità perché dalla Conferenza nazionale dell'energia annunciata per settembre dal ministro Romani possano uscire finalmente delle buone notizie?

«Ho letto di recente l'editoriale di Silvestrini (direttore scientifico del Kyoto club, ndr) su Qualenergia, ed ho notato come i pensieri che ha espresso siano anche i miei. La strategia energetica nazionale è stata annunciata più volte nel corso del tempo: forse adesso la faranno. Questo governo, però, ha una sensibilità ai problemi ambientali nulla, come conferma l'impostazione che sin dall'inizio ha tenuto sul nucleare, come pure il tentativo di mettersi di traverso per il raggiungimento degli obiettivi europei del 20-20-20, dichiarando i costi eccessivi (con quali numeri?).

Si potrebbero fare molti altri esempi in merito, con i tentativi di togliere sul bonus del 55% per la riqualificazione energetica degli edifici, o le problematiche inerenti il quarto conto energia. Il ministro per lo sviluppo, Romani, sa che non è possibile rinnovare recessivamente le normative, sconvolgendo di fatto un importante pezzo d'industria (quello che cresceva, oltretutto), eppure...

Il pedigree dell'esecutivo rimane dunque carente, in materia. Senza più l'ombra del nucleare occorre reimpostare la strategia energetica nazionale, con nuove prospettive; ancora una volta dovremmo prendere esempio dalla Germania, che costituisce un precedente da cui gli altri stati europei non possono più prescindere, anche solo per quanto riguarda il punto di vista della strategia. Visto che l'Italia si trova a iniziare un nuovo programma, senza neanche la difficoltà di dover rimpiazzare l'approvvigionamento energetico da nucleare, dovrebbe sfruttare la posizione nella quale si trova, quantomeno accodandosi ai tedeschi, proseguendo il percorso che l'ha vista, nel fotovoltaico, seguire a ruota proprio la Germania».

L'amministratore delegato di Enel, Fulvio Conti, ha recentemente affermato come ‹‹senza il nucleare, il carbone rappresenterà la capacita produttiva di base di cui il Paese ha bisogno››. Dopo Porto Tolle, inoltre, anche in Toscana, a Piombino, si comincia a riflettere sulla possibilità di trasformare la centrale Enel di Tor del Sale a carbone "pulito". Invece di puntare su una transizione guidata dal gas (e più veloce possibile), sembra sempre più forte il desiderio di tornare ad affidarsi ad una fonte fossile "ottocentesca", oltre che la più inquinante tra le disponibili: come mai?

«Enel in un mercato liberalizzato fa il suo interesse, e per quanto mi riguarda lo può anche fare. Se ci fosse una programmazione seria da parte del Governo, non in termini di stretta pianificazione ma stabilendo un indirizzo preciso, le cose andrebbero però probabilmente in modo diverso: il carbone andrebbe reso una fonte più cara di altre, offrendo così un disincentivo ad Enel, che punterebbe su altro. Tenendo anche conto delle direttive europee 20-20-20 (con uno sguardo volto al lungo periodo, al 2050 e oltre), la transizione verso una strategia rinnovabile non può non essere fornita se non dal gas».

Lo spauracchio che in Italia viene agitato per primo quando si parla di energia è la dipendenza energetica dall'estero: a quanto ammonta la risorsa di carbone in Italia, e quanto durerebbe?

«Il Governo potrebbe regolare il problema della dipendenza energetica dall'estero, tenendo conto della nostra struttura di domanda-offerta gestendosi con i rigassificatori. Solo che, al momento, il carbone all'Enel costa meno. Anche per i rigassificatori, però, manca una seria programmazione. Oggi, tenendo anche conto della crisi economica dalla quale siamo investiti (e delle forniture libiche, con una situazione al momento abbastanza sotto controllo, non emergenziale), dovremmo invece provare a prevedere il consumo da soddisfare, prevedendo sistemi di monitoraggio e revisione in corso d'opera. Al momento, tutto questo manca. Un altro aspetto da sottolineare rimane la mancata definizione per le regioni rispetto al loro ruolo per il raggiungimento degli obblighi (da considerare poi su base nazionale) sulle emissioni, anche in riferimento al mercato europeo del carbonio, l'Ets».

Oltre a questioni prettamente economiche, l'affinamento della tecnologia permette di vendere l'utilizzo del carbone come "pulito": cosa si nasconde dietro questa parola?

«Si nasconde una mistificazione, con un deficit informativo che fa credere come il carbone pulito non emetta CO2, ma questo non è assolutamente vero. Una comunicazione più corretta non giocherebbe sull'ambiguità. Se sul mercato Ets costasse di più, generare elettricità dal carbone non sarebbe così economico: è necessario inasprire i vincoli in merito, cosicché i prezzi sull'Ets non restino così depressi. Oltretutto, quando si parla di carbone "pulito" solitamente non si va a toccare il tema delle emissioni inquinanti - altrettanto importanti - ma solamente quelle della CO2».

Quali sono le mosse che è lecito auspicarsi vengano concretamente mosse per prime per portare anche l'Italia sulla via della transizione energetica?

«Dico una cosa non originale: è necessario puntare sull'efficienza energetica, che è anche propedeutica ad una sistematica implementazione delle energie rinnovabili. Credo sia quello l'ambito dove concentrare lo sforzo massimo, anche perché rimane il provvedimento più economico da attuare. Oggi si parla, in Italia, di intraprendere un nuovo percorso di crescita. Ad esempio, nel Piano nazionale delle riforme che è stato presentato, è però evidente come l'energia e l'ambiente non figurino affatto tra le priorità di questo governo; si coglie una necessità concreta annunciando la riduzione dei consumi energetici della pubblica amministrazione, il che è ovviamente positivo, ma subito dopo si precisa come non si abbia l'intenzione di porsi obiettivi vincolanti da raggiungere. Si propone invece di puntare su settori come l'edilizia, ma un'edilizia che si muove pensando a come unica, pressante necessità quella di costruire, e basta: sono esempi di un atteggiamento che non ci possiamo più permettere di portare avanti.

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