[03/08/2011] News

Storie di plastica e di carbone: ma quanto è stretta la via per la sostenibilità

L'estrema complessità delle problematiche e delle domande che nascono da quasi tutto quello che ruota attorno alla sostenibilità ambientale, porta troppo spesso a un'altrettanto estrema semplificazione delle analisi e delle risposte. Un gioco il sui risultato è a somma zero, quando va bene, se non a detrimento delle prime (le problematiche che così si ingigantiscono) sotto i colpi delle seconde, magari con le migliori intenzioni.

Eterogenesi dei fini, soprattutto se alla sostenibilità ambientale si vuole - come si deve peraltro - far seguire una sostenibilità anche sociale. Due esempi dalla cronaca di oggi del Sole24Ore spiegano meglio di tante parole. Succede in Australia con la carbon tax, succede in Italia con la riduzione dei consumi di acqua in bottiglia.

Premessa: entrambe le cose sono buone in assoluto, ma il punto è governare i cambiamenti e non lasciarli in pasto ai mercati. Siamo insomma sempre lì con il conto. Con la natura, segnatamente, in conto. L'Australia ha fatto bene a istituire la carbon tax, ma le critiche delle società minerarie non sono tutte campate in aria.

E' un fatto che in un'economia di mercato l'iniziativa di un singolo soggetto, in questo caso l'Australia, innalza i costi di un bene, il mercato si rivolge se possibile da un'altra parte.

«Per non subire un aumento dei costi l'industria finirà col ridurre le attività in Australia - avverte Mike Davis chief executive di Xstrata sul Sole24Ore - il carbone finirà con l'essere prodotto da qualcun altro in Indonesia e per ironia della sorte verrà estratto con maggiori emissioni di gas serra rispetto a quanto avverrebbe in Australia».

Questo non significa che l'Australia ha fatto male, significa che l'avanguardia deve essere presto seguita dagli altri Stati prima reticenti se si vuol far sì che la manovra funzioni. Quindi se si firmano accordi internazioni per la riduzione di C02 bisogna che in qualche modo si facciano rispettare e chi ha il coraggio di muovere il primo passo, non va lasciato solo. Altrimenti, come si vede anche se siamo ovviamente di fronte a una guerra di nervi più che a una situazione già reale, le cose vanno addirittura nel senso opposto.

Più complicata, se vogliamo, la questione italiana sull'acqua in bottiglia. Perché questa cattiva abitudine ha portato a una situazione per certi versi paradossale: sei il primo consumatore almeno Ue in questo settore, primato che quindi ti ha anche portato ad avere una relativa industria di primordine.

Ambientalmente parlando, però, il consumo di acqua in bottiglia è insostenibile sia per la quantità di plastica usata (dire che si può raccogliere in modo differenziato, non vuol dire che si ricicli tutta...) sia per il trasporto delle bottiglie su e giù per l'Italia sia per una sempre più forte competizione sugli usi della risorsa, che non è illimitata.

Tutte le iniziative volte alla riduzione dei consumi di acqua in bottiglia sono quindi auspicabili e utili, ma se non si governa questo cambiamento (vedi anche l'annosa questione delle buste di plastica) il risultato magari è la perdita di centinaia di posti di lavoro. Sostituire le bottiglie di plastica o i sacchetti tout court con la bioplastica ha lo stesso i suoi inconvenienti. A partire dal fatto che finiscono per inquinare la raccolta differenziata della plastica, perché evidentemente la comunicazione non è stata efficace e i cittadini le conferiscono nello stesso contenitore, mettendo a rischio la riciclabilità dell'uno e dell'altro.

Come si vede le questioni sono sempre molto più complicate di quello che sembrano. Una politica "verde" che voglia davvero una riconversione ecologica del'economia deve affrontare queste cose al massimo livello e con un approccio multidisciplinare. Spesso è anche un problema di cultura. Come scambiare la raccolta differenziata con il riciclo. Oppure la green economy con la sola produzione di energia da fonti rinnovabili.

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