[27/07/2011] News

Il valore e la libera diffusione della cultura come vettore per un’economia delle idee

La società europea di fisica (Eps) ha premiato con una pioggia di riconoscimenti la qualità della ricerca della fisica italiana. Dei dieci studiosi premiati, la metà è composta da nostri concittadini: il riconoscimento di maggior prestigio, il premio per le ricerca in Fisica delle particelle e delle alte energie, è stato consegnato a Luciano Maiani, presidente del Consiglio nazionale delle ricerche, che a suo tempo - da direttore del Cern di Ginevra - inaugurò il progetto dell'Lhc, l'accelleratore di particelle più grande (e famoso) al mondo, ‹‹sotto i riflettori per gli esperimenti che sta effettuando alla ricerca del bosone di Higgs e di nuove particelle›› - come dichiarato dallo stesso Maiani.

Non solo il direttore del Cnr, ma tra gli altri fisici nostrani che si sono distinti nell'ambito della conferenza tenutasi a Grenoble per la consegna dei premi figurano Paolo Creminelli ed Andrea Rizzi, insigniti del riconoscimento Giovani Fisici, arrivato giusto per smentire nuovamente la fama di "bamboccioni" che qualcuno vorrebbe costruire attorno alle nuove generazioni.

Quella di Grenoble è stata occasione in più per ricordare come, nonostante gli impietosi tagli che si susseguono senza sosta all'istruzione come alla ricerca e sviluppo in Italia, le eccellenze nel nostro Bel Paese non mancano, benché vengano più spesso apprezzate oltre confine.

Si ripete continuamente come il nostro Paese, affogato dai debiti, non trovi la via per riemergere a causa della crescita economica, ferma a tassi irrisori. Presupposto che quella auspicata non è neanche la semplice ripresa di produzione e consumi, ma è necessario percorrere un nuovo e sostenibile indirizzo, è indispensabile puntare con maggiore convinzione e coraggio sugli investimenti in R&S e risollevare le sorti della martoriata scuola pubblica italiana, dove lo Stato - secondo l'Ocse - investe appena il 9% della spesa totale, un dato scoraggiante se confrontato con quelli degli altri paesi appartenenti all'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.

Se si guarda alla ricerca e sviluppo, le prospettive sono altrettanto scoraggianti. Dai dati recentemente diffusi dall'Economist, gli investimenti pubblici in questo settore sono pari all'0,6% del Pil italiano (e quelli privati aggiungono un altro 0,5%), mentre in Francia gli investimenti globali sono esattamente il doppio, pari al 2,2% del prodotto interno lordo. Gli italiani sembrano essersi dimenticati che non abbiamo altre carte con le quali giocarci la partita dell'economia su un terreno globalizzato che non siano i prodotti ad alta tecnologia, pensati e costruiti con logiche ecosostenibili, con magari il valore aggiunto della creatività tipica del Bel Paese, che da sempre caratterizza il piccolo artigianato, altra eccellenza su cui puntare per il presente ed il futuro. Per gli altri tipi di commercio, è infatti impensabile rivaleggiare con le caratteristiche proprie dei paesi in via di sviluppo.

Almeno fino a quando la globalizzazione del mercato non sarà accompagnata dalla rispettiva globalizzazione dei diritti (dei lavoratori, e non solo), puntare sulla ricerca e sull'innovazione rimarrà probabilmente l'arma più affilata sulla quale poter fare affidamento, puntando ad una ridefinizione dei processi produttivi, incentrato su un più saggio utilizzo di risorse ed energia. L'obiettivo sta nella riduzione del throughput che attraversa la nostra economia, nello spingere il riciclo delle risorse al massimo livello, ed usare l'energia nel modo più efficiente possibile, per minimizzare l'entropia del sistema. Aver ben presenti i problemi reali, insomma, per mantenere l'economia coi piedi ben piantati in terra.

La situazione nella quale ci troviamo non è affatto felice. Un cieco pessimismo non è però certo utile alla causa: volendo indossare gli occhiali rosa è possibile affermare come, dovendo ancora partire a costruire, sia possibile farlo senza i vincoli che legano altre realtà più sviluppate della nostra, e con un indirizzo già consolidato.

Quale futuro aspetta il mondo della cultura? Da un passato - ed un presente - che legano ancora profondamente la produzione di cultura con i diritti stabiliti dal copyright ad essa legati, si preannuncia un futuro dove l'accesso alle informazioni diverrà progressivamente sempre più libero.

La scorsa settimana un ricercatore della prestigiosa Harvard, Aaron Swartz, è stato arrestato per un'azione di disobbedienza civile, con la quale ha scaricato e diffuso in rete quattro milioni di articoli scientifici, ai quali aveva liberamente accesso grazie al suo status di ricercatore. Una decisione che comincia già ad apparire anacronistica, tenendo anche conto che - come sottolineato ieri da uno scritto a firma di Numerico, pubblicato sull'Unità - chi ha redatto quegli articoli è stato prevalentemente finanziato con fondi pubblici. Nasce per cui il paradosso per cui la collettività si trova a pagare due volte, la prima per finanziare la produzione di cultura, la seconda per accedere ai risultati del processo.

Senza voler incentivare un'ingiusta abolizione del copyright, sarebbe lecito avanzare proposte per una sua riforma ricordando i benefici apportati a realtà di tutto il mondo e di tutti i generi dal crowdsourcing, un modello di fare impresa da parte di aziende ed istituzioni che esternalizzano parte della loro attività ad una comunità distribuita di soggetti grazie alle potenzialità offerte dal web, attingendo a quelle competenze e creatività che solo una struttura a rete è in grado di offrire, sprigionando una potenza di problem solving impossibile da produrre chiudendo le porte all'esterno.

E se tra i successi di maggiore diffusione del crowdsourcing sta la creazione di un'enciclopedia come Wikipedia, molte aziende private (con esempi nei settori più disparati) hanno approfittato con soddisfazione delle opportunità offerte da questo modello. Basti ricordare l'esempio della Goldcorp, società che si occupa della ricerca di giacimenti d'oro, che già nel 1999 - per rimediare a grigie prospettive - riunì le conoscenze di 1'400 internauti con i più svariati profili (offrendo un premio di 575mila dollari), che individuarono 110 possibili zone profittevoli, con l'80% delle quali che risultò essere un buon investimento sul quale puntare.

I diritti di accesso alla cultura ed all'istruzione rientrano tra quelli difesi dalla Dichiarazione dei diritti dell'uomo redatta dall'assemblea generale dell'Onu, ma a queste buone intenzioni solitamente non è dato un grande seguito. Eppure, non si tratta di mere velleità umanistiche. L'economia dei grandi paesi industriali, oggi giorno, è sempre più un'economia delle idee, che si nutre di cultura come delle possibilità legate ad una sua capillare diffusione. Dovrebbe essere un promemoria del quale non dimenticarsi.

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