[22/07/2011] News

Qual č l’alternativa al Pil? L’esperienza del Bhutan

Ancor prima che giungessero conferme sul forse inatteso accordo europeo sul nuovo salvataggio greco, volto a limitare i rischi del contagio della crisi del debito, i mercati danno l'impressione di aver imboccato una strada di rinnovata fiducia, come testimonia il rialzo delle borse del Vecchio continente. È possibile dire ancora ben poco su quanto sia duratura questa svolta, e quanto solida la pezza posta alla crisi dalle istituzioni europee. Quel che è certo è che, non appena le nebbie sulla crisi del debito sembrano cominciare a diradarsi, l'occhio dei mercati è di nuovo volto a scrutare le capacità di crescita dell'economia europea, con la locomotiva del Pil che si fa sempre più stanca, come noi italiani sappiamo bene.

Ogni volta che torna ad occupare la ribalta della cronaca, viene acriticamente considerata una buona notizia l'aumento del prodotto interno lordo di un Paese, ed una disdetta ogni suo calo: è l'imperativo della crescita. Solo da qualche tempo a questa parte, nel mondo occidentale, si comincia a riflettere a quale apporto sia in grado di offrire realmente un indice come il Pil per giudicare il progresso di una nazione.

Già Simon Kuznets, premio Nobel per l'economia, presentò nel 1934 il Pil da lui inventato avvertendo che non era affatto adatto per misurare il benessere della popolazione (ponendo tra l'altro già vari distinguo valutando tra vari tipi possibili di crescita). Facendo tesoro (un po' in ritardo) di quest'ammonimento, nel 2008 il presidente francese Nicolas Sarkozy ha promosso l'istituzione di una commissione di ricerca per trovare un'alternativa concreta al Pil. La compagine di economisti, con a capo teste pensanti del calibro di Amartya Sen, Josep Stiglitz e Jean Paul Fitoussi, nella loro relazione finale non riuscì a partorire un nuovo indice sintetico, ma "solo" un insieme di raccomandazioni. È ben difficile individuare un nuovo metro di giudizio che tenga conto di una realtà complessa, esprimendola magari attraverso un solo numero.

Se i tentativi di un certo calibro da parte delle istituzioni occidentali di ovviare al problema si contano ancora sulle dita di una mano, cominciano comunque ad accumularsi gli esperimenti per riuscire a trovare una soluzione al dilemma, appurata ormai l'intrinseca parzialità di giudizio che caratterizza il Pil. Ad ultima testimonianza di tale percorso, l'Onu ha recentemente organizzato una tavola rotonda sul tema, come ha riportato greenreport.it sulle sue pagine (vedi link), accogliendo l'impulso proveniente dal piccolo Stato asiatico del Bhutan, che ha già sostituito il Pil con una misura della Felicità nazionale lorda (Gross national happiness - Gnh).

Il Bhutan, semisconosciuta monarchia costituzionale pressappoco delle dimensioni della Svizzera, è una nazione incastonata lungo la catena dell'Himalaya, tra il gigante indiano (dal quale dipende ancora fortemente, come dagli altri aiuti internazionali) e quello cinese, e ha nell'agricoltura la sua attività economica principale. Secondo i dati del 2009 riportati dal Fondo monetario internazionale, se il suo progresso fosse misurato in termini di Pil occuperebbe la 163esima posizione nella classifica mondiale. Ma questo non preoccupa la popolazione o le istituzioni del Bhutan, che dal 1972 ha ufficialmente adottato il Gnh come bussola per orientare il suo sviluppo.

Dal 1972, infatti, grazie all'incipit del monarca al tempo 16enne Jigme Singye Wangchuck, il Gnh è entrato a far parte delle statistiche ufficiali del Paese, sostituendo definitivamente il Pil nel 2008, giudicato inadatto a promuovere uno sviluppo complessivamente sostenibile, che abbia a cuore i bisogni del corpo come quelli della mente.

Nel Bhutan, già oggi 99,9% dei kWh prodotti proviene dall'utilizzo dell'energia idroelettrica; la scuola, la sanità, le infrastrutture e lo stato sociale in genere stanno conoscendo un lento ma progressivo aumento della qualità e della quantità dei servizi offerti alla popolazione, nonostante la persistenza di varie contraddizioni interne alla giovanissima democrazia, come quella che ha costretto una parte del popolo bhutanese nello stato di profugo, a causa di una politica per la preservazione della purezza della razza.

L'insieme degli indicatori che costituiscono il Gnh si basano su quattro pilastri: lo sviluppo sociale equo e sostenibile, la sostenibilità ambientale, la promozione della cultura e delle relazioni, ed il buon governo. Tali pilastri fondamentali sono poi stati distillati dal Centro studi per il Bhutan in nove diversi dimensioni di riferimento (spezzettate in un totale di 72 indicatori), che includono - novità considerevole - aspetti sia "oggettivi" che "soggettivi" della valutazione del benessere: l'utilizzo del tempo, il benessere psicologico, lo stato di salute, la vitalità della comunità, la varietà culturale e la sua resilienza, il livello d'istruzione, il tenore di vita, il buon governo, e la varietà ambientale con la relativa resilienza. Dal 2007, ad una parte del popolo bhutanese è stato sottoposto un questionario di più di 70 pagine che potesse offrire un quadro della situazione del Paese attraverso la redazione di questi indici.

Alla base di una politica basata sul Gnh sta la scuola e l'educazione per come è impartita in Bhutan, dove fino a poco tempo fa questo campo era di esclusivo dominio da parte delle istituzioni buddhiste. La scelta del modello educativo è giustamente ritenuta fondamentale per favorire l'adozione di uno stile di vita che sia compatibile con gli obbiettivi previsti da uno sviluppo basato sul Gnh. Proprio su questo fronte, il Bhutan si trova ad affrontare i primi problemi legati alla globalizzazione, con l'apertura all'estero (tramite media e turismo) che rischia di "inquinare" l'originale visione che il Paese ha di se stesso e dei propri obbiettivi da raggiungere.

Lungi dal voler essere un vero e proprio metro standard della felicità (probabilmente, e per fortuna, impossibile da ottenere) il Gnh potrebbe costituire una valida ispirazione - oltreché al momento una sorta di laboratorio o di test che dir si voglia su piccola scala - per un modello in grado di sostituire l'ormai vetusto Pil. Anche in altri e più "economicamente avanzati" lidi.

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