[13/07/2011] News

Greenpeace richiama Adidas e Nike all’impegno per rendere sostenibili le filiere produttive in ogni parte del mondo

Greenpeace questa volta ha preso di mira i giganti mondiali dell'industria dell'abbigliamento sportivo. Davanti al più grande negozio al mondo della Adidas che si trova a Pechino in prossimità del concorrente Nike, gli attivisti dell'associazione ambientalista hanno "srotolato" uno striscione con la scritta "Detox" per chiedere ai due grandi gruppi di eliminare gli inquinanti tossici dalla propria catena produttiva e dai prodotti in commercio.

La richiesta non è estemporanea, ma giunge al termine di un'indagine condotta nell'ultimo anno da Greenpeace sull'inquinamento da sostanze pericolose nelle acque dei fiumi cinesi i cui risultati sono riportati nel report "Dirty Laundry". L'associazione tra il 2010 e il 2011 ha raccolto campioni di acqua presso gli scarichi di due complessi industriali cinesi, lo Youngor Textile Complex e il Well Dyeing Factory Limited, localizzati rispettivamente sul delta del fiume Yangzte (il più lungo della Cina che fornisce acqua potabile a circa 20 milioni di persone) e del fiume delle Perle, le cui analisi hanno evidenziato sostanze a livelli di concentrazione preoccupante.

Si tratta di alchilfenoli e composti perfluorurati, sostanze usate in alcune fasi della produzione tessile e considerate pericolose perché alterano il sistema ormonale dell'uomo e agiscono anche a basse concentrazioni, oltre metalli pesanti (cromo, rame e nichel) e composti organici volatili quali il dicloroetano, il tricloroetano (cloroformio) e il tetracloroetano. «Dietro questi complessi industriali cinesi - ha dichiarato Vittoria Polidori responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace - ci sono grandi marche dello sport nazionali, ma soprattutto internazionali (Abercrombie & Fitch, Adidas, Bauer Hockey, Calvin Klein, Converse, Cortefield, H&M, Lacoste, Li Ning, Meters/bonwe, Nike, Phillips-Van Heusen Corporation, Puma) che, con il loro potere economico, avrebbero la forza di influenzare l'intera catena di produzione e il mercato. Adidas e Nike devono prendere il timone e guidare l'intero settore verso una chimica pulita».

Per la precisione nel confermare le loro relazione commerciali con il Youngor Group, Bauer Hockey, Converse, Cortefield, H&M, Nike e Puma hanno informato Greenpeace che non fanno uso dei processi "a umido" del Youngor Group per la produzione dei loro abiti. Comunque già in anni passati Greenpeace aveva segnalato questa criticità in territorio cinese, trovando le sostanze pericolose suddette distribuite lungo la catena alimentare.

L'unica soluzione quindi è quella di intervenire sui processi produttivi per eliminare gradualmente l'uso delle sostanze pericolose, come già avviene in alcuni Paesi occidentali. Si tratta - spiegano dall'associazione - di composti persistenti (che non si degradano facilmente nell'ambiente) e bioaccumulanti (che possono accumularsi nella catena alimentare) che non vengono trattenuti neanche dai moderni sistemi di depurazione delle acque, come nel caso dello Youngor Textile Complex.

«Al momento nessuna delle aziende indicate nel rapporto ha una visione completa dell'intero processo produttivo che porta alla fabbricazione del prodotto finito - spiega Polidori - La soluzione al problema è in primis adottare una chiara politica chimica che permetta alle aziende, attraverso monitoraggi periodici e scadenze precise, di ridurre e infine eliminare l'uso di composti pericolosi lungo l'intera catena di rifornimento».

La frammentazione delle filiere produttive con appalto di segmenti al miglior offerente non permette di controllare efficacemente l'intero ciclo di produzione e poi fino a che il "peso" economico dell'impatto ambientale viene esternalizzato la "partita" non sarà di facile soluzione. I controlli potranno essere senza dubbio più rigorosi ma tutto comunque dipende dai grandi gruppi industriali e dalla loro volontà di produrre in moto etico e sostenibile magari guadagnando qualche dollaro in meno.

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