[12/07/2011] News

La ragione dei torti dei mercati

Una nazione che ha il debito al 120 per cento sul proprio Pil è in crisi o no? Se la risposta è sì, allora i mercati hanno ragione. Se la risposta è no, i mercati hanno torto, ma viene da domandarsi quando allora una nazione è in crisi e quando è in salute.

Così si può dire delle società di rating: hanno ragione solo quando dicono che va tutto bene? Se ci si affida a loro solo per farsi dire bravi, davvero c'è qualcosa che non va. Così come se la manovra del governo italiano non è credibile, allora di nuovo hanno ragione i mercati a bocciarla. Siamo, ci pare, di fronte all'ennesimo cortocircuito.

Dopo anni a dire che l'Italia stava meglio degli altri, ora la tesi non è più sostenibile e ci si scaglia contro chi sta certificando che quella era una bugia. Ma pochi argomenti ha anche chi pur sostenendo da sempre che quella era una bugia, ora dice che è colpa della manovra del governo e contemporaneamente attacca gli speculatori. Tra l'altro tutto questo rischia di essere solo un'inutile giaculatoria se invece, come sostengono altri analisti, l'attacco non è all'Italia, ma all'Ue: si colpiscono gli stati più in difficoltà per far crollare tutta l'Unione.

La crisi in Italia è «essenzialmente determinata dai mercati, ai quali il governo italiano e i suoi partner europei saranno molto attenti», dice ad esempio il neo direttore generale del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), Christine Lagarde, che ammette però che la crescita economica italiana deve migliorare per assicurare la stabilità: «é essenziale per ristabilire la situazione, oltre alle misure già decise con l'obiettivo di riportare il deficit al 3% nel 2012».

Dunque, par di capire, la questione sta in questi termini: l'Ue non se la passa affatto bene e i mercati sono affamati di sangue. Staranno sulla preda fino a quando questa non reagirà oppure cadrà esanime. Per reagire serve un'azione politica forte, una coesione a livello almeno europeo, ma verrebbe da dire a livello mondiale, tuttavia la variabile tempo - non solo a greenreport.it - gioca drammaticamente a sfavore della "politica".

Sentite cosa scrive oggi Carlo Bastasin sul Sole: «Non c'è dubbio d'altronde che l'intera crisi dell'area euro sia una crisi di natura politica. Una crisi alimentata cioè dall'incapacità di dare risposte politiche comuni tempestive a problemi un tempo circoscritti a piccoli Paesi. L'incapacità è stata aggravata dalla distonia tra i tempi della politica - delle democrazie e del consenso - e quelli fulminei dei mercati. Proprio per queste stesse ragioni, la risposta italiana deve essere sia politica sia rapida. Una modifica della Costituzione, che riferisse esplicitamente il vincolo del pareggio di bilancio al rispetto degli impegni presi nell'ambito della comunità dei Paesi della moneta unica, potrebbe essere la risposta giusta nei tempi più brevi possibili».

Ieri Alberto Alesina a greenreport.it ha risposto, sulla domanda relativa proprio a questa "distonia", che «se la burocrazia è lenta non bisogna rallentare i mercati, ma bisogna velocizzare i controllori». Ma a noi questa strada pare assolutamente impraticabile. Come minimo, e ci risiamo, mancano i tempi tecnici.  Il default di questo passo è qui e ora, mentre le decisioni, sempre di questo passo, stanno a zero o poco più. Questo significa che alla fine del percorso, troppi morti saranno lasciati per strada. I trader ringraziano, i lavoratori no. E l'ambiente nemmeno, perché in tutto questo bailamme state certi che tutte quelle iniziative che dovrebbero essere prese per rendere l'economia più ecologica a tutti i livelli, saranno le prime a soccombere in ragione del fatto che prima c'è da risolvere la crisi economica.

Se poi si declina la questione sulla gestione delle materie prime, anch'esse ormai completamente disconnesse dall'economia reale se non in termini di costi, mentre sulla loro gestione è la finanza ancora che ne controlla il futuro, il quadro apparirà assolutamente altrettanto cupo.

Alesina sempre a greenreport.it sostiene nel merito di non capire «come la scarsità delle risorse non si traduca in un aumento del loro prezzo che riduca il consumo». La risposta più semplice è che semplicemente questo non sta accadendo. Le risorse o beni comuni che dir si voglia il mercato non li sta per niente tutelando o riducendo il consumo. Basta dare uno sguardo ai flussi di energia e di materia per rendersi conto della situazione.

Non lo fa perché non è nella natura dell'economia finanziaria dove si vince perché si rischia, mentre una gestione delle materie prime ecologicamente sostenibile non può essere soggetta a rischio. Anche se il mercato fosse comunque la soluzione migliore, non questo mercato, dove la speculazione, significa giocare con la vita della gente nel senso vero del termine. Quello che i cittadini comuni cominciano a chiedersi, in buona sostanza, è perché la rischiosa vita degli speculatori debba svolgersi a danno del loro benessere e della loro tranquillità.

Torna all'archivio