[08/07/2011] News

Chi c'è dietro le agenzie di rating? Snorkeling negli abissi della finanza

Nelle sale dei bottoni europei è tornato di moda lo sport preferito in caso di declassamenti dei debiti sovrani del vecchio mondo: cercare di impallinare le tre più grandi agenzie di rating che, sole, si spartiscono un ben poco concorrenziale mercato dei giudizi sulla solvibilità - più o meno garantita, dal breve al lungo termine - delle più disparate attività analizzate, ovvero sulla loro capacità futura di restituire i crediti a suo tempo ricevuti da finanziatori di tutto il mondo, piccoli o grandi che siano.

In merito a queste agenzie di rating, però, generalmente viene conservata quell'omertà dettata da ignoranza che avvolge l'intero mondo dell'economia, ed a maggior ragione quello criptico della finanza internazionale. Solitamente ci si accontenta della facciata dei loro nomi, Standard and Poor's, Moody's e Fitch (in ordine d'importanza), senza altro pretendere. Tutto ciò nonostante dai giudizi del  gotha di queste tre sorelle dipenda per una significativa parte l'andamento degli ipocondriaci mercati finanziari, pronti a sobbalzare e contorcersi nelle più azzardate evoluzioni non appena una delle tre muove foglia, emettendo giudizi.

Andando un po' più a fondo nell'argomento, la prima cosa che sicuramente salta all'occhio è che, pur essendo ingranaggio fondamentale di un mondo, quello della finanza, che ha come contesto ideale di riferimento quel mito mai realizzato (ed irrealizzabile) chiamato "libera concorrenza", il mercato delle agenzie di rating si presenta come un impressionante oligopolio, con le tre sorelle che dominano incontrastatamente la scena mondiale, spartendosi rispettivamente il 40% (Standard and Poor's) il 16% (Fitch) ed ancora il 40% (Moody's) della torta. Il rimanente 4%, come si può intuire, risulta totalmente ininfluente.

Per non farsi mancare niente, le stesse agenzie di rating che con i loro giudizi influenzano pesantemente l'andamento dei mercati finanziari sono società quotate in borsa, e quindi le loro performance sono direttamente influenzate dai giudizi che loro stesse emettono, ed ai quali i poteri politici hanno consentito di assumere un ruolo prevalente.

Non solo: se andiamo a spulciare per vedere nelle mani di quali azionisti è riposto il capitale di queste società, scopriamo che la "lunatica" (traduzione letterale di Moody, quanto mai azzeccata) ha tra i primi soci di riferimento la Berkshire Hathaway, a sua volta in mano a Warren Buffet, speculatore ottantenne tra i primissimi nella lista degli uomini più ricchi del mondo. Qui il livello di conflitto d'interessi è davvero lapalissiano, quasi da far impallidire alcuni esempi meneghini, che qui in Italia conosciamo bene.

Per quanto riguarda Standard and Poor's, invece, la situazione appare inizialmente più anonima, con la società che fa parte di McGraw-Hill Company, una tra le più grandi compagnie nel mondo dell'editoria e dell'informazione; indagando più a fondo, vediamo che il primo azionista della società che suona come "standard e povero" è Capital World Investors (a sua volta presente con un'importante fetta in Moody's), una delle massime società di gestione del risparmio made in Usa.

Terminando la lista, scopriamo che la sempre più ventilata ipotesi di un'agenzia di rating europea si è in parte già realizzata, incarnandosi nella più piccola delle tre sorelle, la "puzzola": Fitch è infatti controllata in via maggioritaria dalla holding francese Financie're Marc de Lacharrie're, facente a sua volta capo ad uno degli uomini più ricchi del Paese al di là delle Alpi, il finanziere Marc Euge'ne Charles Ladreit de Lacharrie're.

Questo, a maggior ragione, conferma l'idea che un'agenzia europea di rating non sarebbe certo una panacea per placare le tempeste sui mercati finanziari: nonostante non sia certo il non plus ultra avere le tre sorelle unicamente in territorio statunitense, il problema sono il potere che tali agenzie sono in grado di muovere, e che da qualcuno (il potere politico) è stato loro un tempo affidato.

Le agenzie di rating dovrebbero essere limitate nella possibilità di esprimere giudizi su enti pubblici, locali o nazionali che siano, anche per non rischiare di far la fine degli analisti di Moody's sotto inchiesta dall'anno scorso da parte della Provincia di Trani, dove il pm Michele Ruggiero - dando seguito ad un esposto di Federconsumatori ed Adusbef -  accusa di abuso di mercato ed aggiotaggio tre analisti della società di rating (che si occupano delle valutazioni sul Bel Paese) di manipolare illegittimamente il mercato, sospettando i meriti e le basi dei giudizi espressi.

L'inchiesta di Trani insiste però su quello che ormai è diventato un segreto di Pulcinella. Il mercato finanziario è completamente aleatorio, e le agenzie di rating dovrebbero, soprattutto, limitarsi ad esprimere valutazioni sullo stato di salute attuale dei titoli osservati, e non su quello futuro, del tutto imprevedibile. D'altronde, casi emblematici dovrebbero aver ormai portato tale realtà all'evidenza di tutti: come osservato dal noto economista Krugman tempo fa, il 93% di tutti i subprime valutati da Moody's nel 2006 con l'ottimo grado di AAA sono stati ormai declassati a livello junk (spazzatura). Non fu dunque un caso solitario la valutazione della Lehman Brothers come completamente affidabile proprio pochi giorni prima del tracollo. La colpa non è della fallacità dei giudizi delle agenzie di rating, che si rivelano azzeccati solo per caso o - più frequentemente - quando si trasformano in profezie auto-avverantisi. La colpa è di chi li sta a sentire ed ha dato loro tanto potere, con il timore adesso di riprenderselo.

Va preso come un dato di fatto, ed è necessario farsene una ragione. La "trasparenza" o la "concorrenza perfetta" semplicemente non hanno niente a che vedere col mondo reale (e per fortuna); un mondo composto da soggetti economici che sanno tutto di tutti in qualsiasi momento, sul presente e sul futuro, oltre che disumano, sancirebbe la completa sparizione del mercato: i profitti, in finanza, si basano sulle valutazione contrastanti dei diversi agenti, senza le quali non sarebbe possibile guadagnare assolutamente nulla. Non sono dunque le agenzie di rating il vero problema, ma la narrazione sulla quale queste si basano. Senza cambiare quella, il resto è solo una flebo attaccata alla morente economia e società mondiale.

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