[01/07/2011] News

La genetica salverā il diavolo della Tasmania dal cancro infettivo Dstd?

Un gruppo di ricercatori australiani, danesi e statunitensi ha pubblicato su Proceedings of the national academy of sciences (Pnas) la ricerca "Genetic diversity and population structure of the endangered marsupial Sarcophilus harrisii (Tasmanian devil)", nella quale si illustra lo sviluppo un modello per capire se «tenere un singolo diavolo della Tasmania in cattività aiuterebbe a conservare abbastanza diversità genetica affinché la specie sopravviva al terribile attacco di un cancro mortale che sta sconvolgendo il suo habitat». La malattia che sta decimando questi carnivori marsupiali si chiama Devil facial tumour disease (Dftd) e si tratta di un cancro contagioso.

Il team internazionale di ricercatori ha fatto l'analisi completa del genoma di due Sarcophilus harrisii, uno morto di Dftd ed uno sano, un'impresa scientifica che potrebbe contribuire in maniera sostanziale alle iniziative già prese per salvare il diavolo della Tasmania. I ricercatori sono convinti che «se il modello funziona, potrebbe essere usato per aiutare a prevenire l'estinzione di altre specie in pericolo».

I marsupiali effetti da Dftd sono stati trovati per la prima volta solo 15 anni fa nella costa orientale della Tasmania. Da quel momento una vera e propria epidemia si è diffusa rapidamente verso occidente, mettendo a rischio estinzione una specie che sembrava in salute. Uno degli autori dello studio, Stephan Schuster della Penn State University degli Usa, sottolinea che «il Dftd è un cancro atipico che sfigura la vittima e causa morte per fame o soffocamento nel giro di qualche mese. La malattia è diversa da qualsiasi altra patologia conosciuta negli umani o in altri animali. Si comporta come un virus, ma è in realtà diffusa da una cellula completamente cancerosa che si manifestò in un soggetto diversi decenni fa. Questa cellula maligna si trasferisce direttamente da un individuo all'altro attraverso morsi, accoppiamento o persino semplice contatto. Immaginate un cancro umano che si possa contagiare con una stretta di mano. Distruggerebbe la nostra specie in tempi brevissimi».

Per questo è così importante difendere e curare questi "terribili" marsupiali dal carattere più che scorbutico. I ricercatori spiegano che «l'idea che sta alla base di questo metodo prevede che un certo numero di diavoli della Tasmania sani siano tenuti in zoo o in "custodia protetta" fino a che il tumore non avrà fatto il suo corso, gli animali tenuti in cattività sarebbero poi reinseriti nel loro habitat e la popolazione potrebbe ricominciare a crescere».

Il principale autore dello studio, Webb Miller, del Center for comparative genomics and bioinformatica della Pennsylvania State University, è sempre più convinto che «le attività per conservare la specie devono essere basate su considerazioni strettamente genetiche. Non è solo questione di prelevare un paio di soggetti a caso e tenerli rinchiusi. Il nostro team ha sviluppato un metodo più intelligente e più calcolato. Ci siamo chiesti: quali soggetti sarebbero i migliori candidati per la "custodia protettiva" e quali criteri dovremmo usare per sceglierli? Ci siamo subito resi conto che la risposta consisteva nel compilare dati genetici da analizzare con metodi innovativi».

Il team ha affrontato questo dilemma da due punti di vista. «Il primo consisteva nel sequenziare genomi completi - 3,2 miliardi di coppie di basi ognuno - di un soggetto di diavolo della Tasmania per ogni sesso. Cedric, il nome dato al maschio, ha mostrato una resistenza naturale a due ceppi del Dftd, ma è morto dopo essere stato infettato con un ceppo diverso della malattia l'anno scorso. La femmina, chiamata Spirit, aveva contratto il cancro maligno prima di essere catturata». Gli scienziati hanno sequenziato anche il genoma dei tumori di Spirit e «visto che Cedric e Spirit provenivano rispettivamente dalle regioni all'estremo nord-ovest e sud-est della Tasmania, essi rappresentavano la massima diffusione geografica della specie».

Questo significa che il team aveva «Un'unità di misura da usare per un'approssimazione di diversità genetica. Dopo aver analizzato i datiugenomici dei due animali, e delle caratteristiche genetiche del tumore, il team ha creato un modello che potrebbe determinare quali singoli animali dovrebbero essere selezionati per i programmi di allevamento in cattività».

Schuster spiega che «potrebbe sembrare che sia meglio scegliere solo i soggetti geneticamente resistenti al cancro Dftd. Questo però vanificherebbe lo scopo di mantenere la diversità genetica perché, per definizione, si selezionerebbe un piccolissimo sottogruppo del pool genetico. Invece il nostro modello suggerisce un metodo più equilibrato. Il fine non è soltanto quello di eliminare il cancro, ma di sviluppare un pool di individui diversi e sani in grado di combattere future malattie o persino patogeni che non si sono ancora evoluti».

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